martedì 13 giugno 2017

domenica

Domenica, ore 8:50 del mattino. Esco di casa con un paio di scarpe da corsa ai piedi e la voglia di muovermi nonostante l'afa che già schiaccia.
Per le strade semideserte incrocio le facce rassicuranti dei candidati alla carica di sindaco della mia città natale. I piedi vanno regolari sul terreno, gli slogan passano via senza che io riesca a leggerli. Peccato, sarà per un'altra volta, anche se provo a immaginare... sicurezza, immigrazione, un futuro migliore. Non ricordo chi un tempo disse che il futuro è un tempo che non si raggiunge mai.
Oltrepasso una passerella di legno su un canale. Edifici universitari dalle facciate scrostate mi circondano mentre calpesto i resti di un sabato sera di bevute di massa lungo i navigli. Mi colpisce la quantità di rifiuti che un branco di esseri umani riesce a produrre durante la movida notturna: a quanto pare conferire i rifiuti negli appositi contenitori è un concetto che si ferma davanti al portone di casa, secondo il calendario della raccolta porta a porta. In assenza di ciò, comprendo che di norma vige la prassi del selvaggio ignorante inconsapevole lordume. Le facce rassicuranti dei candidati alla carica di sindaco continuano a sorridere.
Svolto verso il centro, dove incrocio dei turisti che scattano foto controluce da 12 megapixel da postare il prima possibile.
Le campane di qualche chiesa suonano a festa. Cattolici dalle labbra rifatte a immagine e somiglianza di qualche modella a sua volta rifatta in digitale e dal conto in banca gonfiato in modo diversamente onesto entreranno in chiesa a onorare la festa comandata non secondo il credo religioso ma secondo l'opinione che se ne sono fatti, meglio se condivisa da qualche migliaio di follower, #vabenetuttoaquestomondobastafarsigliaffaripropri.
Svolto ancora, e mentre le gambe cominciano a indolenzirsi mi accoglie l'ombra rifrescante dei portici, tra vetrine scintillanti di invito al consumismo e l'insidia del ciottolato romano usurato dal tempo. Aggiungo grip alla falcata per non scivolare e mi libero dall'assalto di un plotone di sandali ed espadrillas che vorrebbero uscire da un negozio e conquistare i miei piedi per farne il baluardo del glamour estivo. Mi giustifico ricordando mentalmente ai guru dello shoeshopping che ho due piedi soli. Mi spiace.
Sono quasi in dirittura d'arrivo. Vedo il portone a poche centinaia di metri. Le campane suonano ancora. Così si condivideva la festa ante Facebook.
Un vecchio ossuto sta spazzando il marciapiede davanti casa. L'eco della buona educazione dell'uomo-festino-notturno-per-le-strade è giunta fino al suo portone. L'uomo mi saluta e si rallegra del mio spirito sportivo, nonostante io mi senta colata sull'asfalto appiccicoso.
Ho la netta sensazione che la felicità postata sui vari profili sia tutta virtuale e che comunque non gliene freghi niente a nessuno. La finzione è il velo pietoso che stendiamo sulle nostre amare verità.
Infilo le chiavi nella toppa. Accanto al portone mi coglie impreparata un manifesto che invita a partecipare a un incontro di street food in una piazza nelle vicinanze. La didascalia afferma che non importa cosa si mangia, ma con chi si mangia. Quella riga di parole nello spazio di 30x40 cm ha un senso. Nella solitudine quotidiana, cucinare per poi condividere con degli sconosciuti mi fa pensare a un salvagente emotivo, a una corda lanciata nell'oceano del vuoto esistenziale per ricordarci non solo che esistiamo, ma che apparteniamo alla stessa specie umana. Niente marziani all'orizzonte, non ancora almeno. Possiamo ancora ritrovarci, perché è chiaro che ci siamo dispersi. E buona domenica a tutti.


lunedì 3 aprile 2017

la scontentezza


'Mai mi fu dato di vedere un animale in cordoglio di sé. Un uccelletto cadrà morto di gelo giù dal ramo senza aver provato mai pena per se stesso' afferma D.H Lawrence. La scontentezza è invece un tratto dominante dell'uomo moderno, a cui è orgogliosamente affezionato, tanto da esibirla ad ogni occasione possibile. Basta instaurare una qualsiasi conversazione con qualche collega o amico, e dopo poco qualcuno comincerà a lamentarsi di qualcosa, e ben presto inizierà una vera e propria gara per decretare chi gode di maggiore sfortuna, chi ha il sacrosanto diritto inalienabile di sentirsi vittima dell'universo.
Credo sia diventato il passatempo preferito, nonostante sui social media si ostenti gioia a 360° per l'invidia altrui.
In questa follia collettiva, una cosa mi è chiara: la felicità te la devi costruire, giorno per giorno, a volte minuto per minuto.
Non dipende dal numero di cataclismi che ti sono capitati: a un girino o a un cucciolo di tartargua può capitare di tutto prima di diventare "grande", eppure non si lamentano granché.
Non dipende da quanti like visualizzi sul tuo ultimo post, o dalla tua popolarità tra amici veri o virtuali, altrimenti, come farebbero i pesci abissali ad essere felici, considerando che non li vede nessuno?
A giudicare poi dal numero di conti correnti aperti da zebre, leoni, coccinelle o millepiedi, direi che non dipende nemmeno da quanto denaro hai in banca o in qualche paradiso fiscale.
Direi che nemmeno con le religioni andiamo meglio. E allora? Allora non lo so per certo quale sia la segretissima ricetta della felicità, se l'avessi trovata non sarei qui a parlare di scontentezza immagino. Ma intanto, mentre la cerchi, come faccio io, prova a non lamentarti. Ti ritroverai all'improvviso con molto tempo in più e molto spazio in più nella tua mente, tanto che all'inizio ti sembrerà vuota.
A quel punto, prova veramente a guardare o ascoltare gli animali o le piante che ti stanno attorno. Veniamo anche noi da quel mondo lì, anche se preferiamo il cemento, la musica in cuffia e le lampade a basso consumo. Ma guardali veramente, non proiettare il tuo ego-centrismo e antropomorfismo. Tale lettura dà prova solo della nostra eterna superbia, secondo la quale tutto è a nostra immagine e somiglianza.
Qualcosa la scoprirai di certo. Sei un essere senziente, dopo tutto. Ricordatelo.