lunedì 25 aprile 2016

punto linea punto

Mi hanno sempre insegnato che per due punti passa una e una sola retta.
Ma poi ho scoperto che la geometria non è la migliore arte con cui affrontare la vita.
Tra me e un desiderio, un obiettivo, un sogno, non è mai passata una e una sola retta, semmai un groviglio di segmenti, curve e controcurve, salti nel vuoto e svolte impreviste.
Da poco però ho scoperto che due punti e una linea possono essere molto utili per trovare un terzo punto, profondo e di una bellezza sconvolgente, dentro di noi.
Per farlo occorre aggiungere un ultimo elemento, quanto mai vitale: il movimento.
Prendi una slackline, che non è altro che un nome inglese appiccicato a una fettuccia elastica larga appena pochi centimentri e lunga a piacere.
Prendi due punti fermi e fissa ad essi la slack, in modo che sia ben tesa e sospesa da terra quel tanto che basta per farti staccare i piedi dal suolo e dalle tue certezze.
Prova ora a salire sulla fettuccia e a rimanere in equilibrio, poi anche a camminarci sopra.
Ed ecco che qualcosa dentro di te comincia a muoversi nervosamente alla ricerca quasi disperata di quel controllo che hai appena perso in meno di un secondo.
Davvero credi di controllare qualcosa della tua vita?
Qui, su questa linea tesa davanti il tuo sguardo, sembra non esserci posto per te, è troppo stretta, troppo imprevedibile, quasi estranea al tuo linguaggio.
Non sembra interessata all'immagine che hai di te stesso o a quella che gli altri ti rimandano, al ruolo sociale che occupi, alla cultura che hai accumulato nel tempo, alle tue prestazioni sportive, al lavoro che svolgi, al tuo conto in banca.
All'inizio rifiuti l'idea di essere totalmente respinto, il tuo cervello annaspa in questa repentina depradazione dei suoi falsi capisaldi, e il tuo respiro comincia a tendersi. Non vuoi perdere il controllo. Cadi.
Se non ti arrendi, scopri che non c'è posto nemmeno per le tue incertezze, per i tuoi no, per i tuoi dubbi, la tua autocommiserazione, la sfiducia in te stesso.
Respiri e cadi, respiri e cadi, non riesci a fare altro.
Giudichi la cosa un futile gioco, un'inutile perdita di tempo e decidi di smettere? O scegli di riprovarci?
Se non ti arrendi, cominci a comprendere che di "tuo" qui non ci sta proprio nulla, pesa tutto troppo, tutto ti sbilancia, e più tu cerchi di controllare la situazione, più ti sforzi di stare in piedi sulla fettuccia, più diventi rigido e cadi, inevitabilmente cadi.
Una frazione di secondo e giù. Un'altra frazione di secondo e sei di nuovo giù.
Intanto ti fai mille domande, pensi a cosa sia giusto fare, quale sia la sequenza corretta, come mettere la pianta del piede, cerchi una procedura, un gesto da imitare. E intanto sei di nuovo a terra. I tuoi pensieri pesano. La tua paura di cadere ti fa cadere.
Anche se non ti guardi attorno, di domandi se qualcuno ti sta guardando. Ti domandi cosa pensa di te, fosse anche un perfetto estraneo. E cadi.
Non c'è posto per gli altri sulla fettuccia.
Respira e convinciti che la fettuccia può accettare solo te.
Solo quando lasci tutto e accetti di non rimanere attaccato alla caduta, quando non fai calcoli e non proietti aspettative, allora, solo allora, resti in equilibrio, flessuoso come un felino, mobile come una farfalla. Eccolo lì, il tuo terzo punto, quello che hai dentro di te, quello che sei dentro di te, quello che sa stare nel presente e ci sta meravigliosamente a suo agio, senza il minimo sforzo.
Con un po' di allenamento poi, e un sorriso aperto all'ascolto, scoprirai che i limiti si possono spostare, perché la linea non esiste, esiste solo il passo che fai.
Così è nella vita, più o meno credo... O pensi che non siamo nati per questo?



mercoledì 20 aprile 2016

cannibali

L'essere umano moderno è allo stesso tempo un consumatore consumato e un bene di consumo ad uso di cannibali.
Accecato dalla sua stessa voracità di benessere effimero e felicità illusoria, l'uomo moderno non è in grado di liberarsi dalla stretta morsa dei cannibali. Li percepisce, li biasima, li critica, li condanna a voce alta, ma non se ne libera perché sono proprio i cannibali a mantenerlo nel comodo, sicuro e finto benessere della sua esistenza meschina.

Chi sono i cannibali è ovvio. Chi detiene il potere si nutre dell'energia dell'essere umano succhiandogli tutta la linfa vitale che può.
L'addestramento ad essere beni di consumo e consumatori comincia subito, appena nati. Prima in modo indiretto, attraverso le cure che riceviamo dai nostri care-taker, in seguito in modo diretto, attraverso il sistematico lavaggio del cervello trasmesso h24 dal più potente strumento di educazione che è la televisione e propagato in modo virale dai social media.
 L'educazione, la scuola, dovrebbero portare alla libertà di pensiero, ma non è così. La libertà è sempre più gridata come slogan, ma nella pratica essa è repressa in modo scandaloso. Non nascondiamoci dietro miti pedagogici, buone intenzioni, riforme sociali. La libertà di insegnamento è solo una favola, la creazione del libero pensiero una vera e propria chimera. L'obiettivo delle varie agende europee è chiaro e ben definito, basta prendersi la pena di leggerne i documenti. Migliaia di documenti, certo, che nessun cittadino conosce appieno, eppure dovrebbero riguardarlo da vicino, perché la libertà, una volta ceduta, non torna facilmente indietro.
Scritto nero su bianco, l'obiettivo finale europeo è, di fatto, quello di addestrare lavoratori per arricchire e far progredire non certo il consesso umano, ma il sistema. Se davvero lo scopo ultimo fosse il pieno sviluppo delle potenzialità umane, allora ogni schiavitù dovrebbe finire ora, ogni forma di repressione dovrebbe finire ora, ogni forma di povertà dovrebbe finire ora.

La verità è che un sistema non può mai riformarsi dal suo interno, sarebbe come avere una malattia autoimmune. Ogni organismo, infatti, ha come scopo principale l'autoconservazione. Einstein affermava che "un problema non può essere risolto allo stesso livello di consapevolezza che l'ha generato".  Proviamo ad applicare questo assioma alla nostra cultura e società. La risposta dell'Europa alla crisi del consumismo e allo spreco di risorse ed energie che esso ha generato è a dir poco geniale: aumentare la produzione e la competitività. I conti però ci dicono che il materialismo e il consumismo, attraverso la concentrazione della ricchezza, hanno prodotto più povertà che benessere. Continuare sulla stessa strada non può certo portare alla soluzione della diseguaglianza, ma solo ad alimentare altra diseguaglianza, più schiacciante, turpe e feroce. E tale diseguaglianza, con il volto tragico dell'immigrazione, sta ora premendo ai confini del sistema che l'ha generata.

Non siamo più poveri, siamo solo più depredati, in modo ormai scandalosamente volgare.
Non è una crisi economica quella che stiamo vivendo, ma una calcolata ripartizione del potere e della ricchezza in chiave oligarchica. Ne è un esempio il mercato dell'esclusività. Chiudono le fabbriche, ma aprono showroom di veicoli di lusso, il cui mercato, si vedano le fonti ufficiali, è in grande espansione. Si svendono le case, ma si costruiscono resort a 5 stelle nel centro delle nostre città con spa ad uso esclusivo del singolo cliente.
Il consumatore consumato è vorace, il suo ego famelico non prevede rinunce, non concepisce fatiche, resta scioccato dalla semplice idea di non possedere tutto quello che può essere comprato.
Il consumatore non si accorge che ha totalmente consumato le sue energie psicofisiche, è ormai distantissimo da un seppur lieve barlume di lucidità. non ha tempo per riflettere, per ascoltarsi, dentro sentirebbe solo la replica di mille spot televisivi. Ogni mattina cerca allo specchio il modello o la modella a cui deve a tutti costi assomigliare, di cui imita ormai le mosse a perfezione, e non cerca, perché non sa nemmeno più che esista, il suo vero se stesso.

Ma la vita che abbiamo, ricordatelo, è una.
Se qualche volta ti svegli all'improvviso notte e non riesci più a dormire, se qualche piccola o grande malattia ti sta accompagnando da tempo, domandati: sono libero?