mercoledì 29 luglio 2015

digit

La nostra è l'era delle cattedrali digitali, luoghi immensi e mastodontici, dove la mente è incredibilmente impegnata a fare con il suo strumento preferito: la parola.
Solo di instant messaging, l'umanità digitale invia una media di 30 miliardi di messaggi al giorno, con punte che sfiorano i 64 miliardi.
Comunichiamo di più, ma non necessariamente meglio. Comunichiamo spesso, ma non necessariamente senso. Sappiamo reggere più conversazioni allo stesso tempo, ma non necessariamente sappiamo reggere il silenzio.
Il vuoto digitale è la nostra fobia, la solitudine in rete è la peste del secolo.
Abbiamo un ego digitale che è ancora più potente del nostro ego analogico. Insieme, formano una superpotenza invincibile. Nelle cattedrali digitali, possiamo essere chiunque e dovunque, essere in luoghi diversi allo stesso tempo, sentirci invulnerabili e impenetrabili, senza mai scalfirci, perché tanto è tutto finto.
Ma è una realtà finta, senza odore, senza fiato, sangue e sale che ha il potere di disconnetterci totalmente da noi stessi e dall'esperienza.

Ho bisogno di sentire le parole, non di vederle scritte in un quadrato di bit.
Ho bisogno di toccare, con la pelle e con la voce.
Ho bisogno di emozioni espresse da muscoli facciali, non da emoticon a postilla di stringhe lessicali.
Ho bisogno di rumore di risa, di bruciore sapido di lacrime, di ruvidità e verità.
Ho bisogno di creare connessioni, ma di midollo e nerbo, perché non sono la mia mente, e lei non è me.
Ho bisogno dei sensi per dare senso, perché sono digit, non digital.

venerdì 24 luglio 2015

il nodo

Cos'è un nodo e come si forma?
Un nodo nasce dall'intreccio di due capi. Possono essere gli estremi di una stessa corda, o due estremità diverse. Nel primo caso si otterrà una chiusura, nel secondo un'unione.
Non è proprio la stessa cosa.
Se nella vita ti annodi a te stesso, ti chiudi. Se nella vita ti annodi ad altro, ti unisci a quella realtà o persona.
Non sempre i legami sono eterni, anzi, un nodo, se ben fatto, si scioglie con facilità quando non è più necessario, ma tiene, e deve tener bene, quando è richiesto.
I nodi di montagna non sono mai per sempre. Servono per la progressione in sicurezza, su roccia come su ghiaccio, ma una volta giunti al termine, quando il pericolo è finito, vanno sciolti, o possono diventare ostacoli e impedimenti nel futuro.
Come si scioglie un nodo?
Ci vuole fine lavoro a due mani e perizia nel seguire a ritroso il percorso fatto. Se si è formato un groviglio, non è operazione che si risolve in un minuto. Occorre ripassare tutta la corda più e più volte, occorre seguire le volute, aprire le asole, fino ad arrivare al cuore, con pazienza e concentrazione. Occorre osservare e capire.
La cosa sorprendente e affascinante è che, una volta sciolto, del nodo non resta più niente, non c'è nulla al suo interno, nessun segreto, nessun mistero, nulla da proteggere e nulla da nascondere. Nemmeno un'ombra di buio.
E una volta che la corda è tutta stesa, riguadagna la sua efficienza, la sua flessibilità, la sua bellezza.
Quando senti un nodo alla gola o allo stomaco, è una meravigliosa occasione per metterti ad osservare e cominciare a sciogliere.
Per la tua interezza, flessibilità e bellezza

martedì 21 luglio 2015

take the weather with you

Finito un viaggio ne comincia subito un altro.
Lo zaino all'angolo per qualche giorno, si fa ordine nelle tasche e nella memoria.
Emozioni, immagini, sguardi, parole e pezzi interi del film-vita si sedimentano a gocce, e nell'aria si fa denso il profumo della nostalgia.
Si sistema l'attrezzatura, si pulisce l'abito e la persona che lo porta - perché la polvere è come la fatica, si porta addosso - e intanto ci si assesta verso una nuova linea di equilibrio da trovare.
Il cuore umano è fatto a bilancia. In lui tutto trova il giusto peso e può fluire. Quando senti una stretta al petto, è lui che sta soppesando quanto accomulato durante il viaggio.
Dagli tempo e fiducia. Con maestria e pazienza, sa costruire meravigliose, sconfinate cattedrali di luce quel piccolo organo rosso. Ogni arco, un incontro, ogni atrio, una festa, ogni corridoio, un pezzo di vita attraversato, ogni finestra, una nuova possibilità, ogni scala, una prova che è per te, ogni cortile, il meritato riposo.
Ovunque tu vada, porta con te il tuo tempo, porta con te il tuo arco di luce.
Non occorre cercare lontano. Sta sul tuo volto e scorre dentro di te.
Sorridi.


sabato 18 luglio 2015

carapace

Le tartarughe mi ricordano un tempo dell'evoluzione in cui per sopravvivere è stato necessario costruirci barriere difensive addosso.
Quel tempo ha segnato il passaggio dall'acqua alla terra, e a quanto pare, ha richiesto un forte adattamento genetico in fatto di sicurezza.
Il guscio serviva a proteggersi da nuovi predatori sconosciuti, ma ha comportato la perdita di qualche abilità: una tartaruga nuota alla velocità 35 km/h, ma sulla terra, nello stesso arco di tempo, riesce a percorrere più o meno 70 metri.

La terra da allora si è fatta più minacciosa grazie all'apparizione dell'uomo, l'essere più fragile e aggressivo che il nostro pianeta ospiti.
Noi costruiamo costantemente gusci: copriamo varie porzioni del corpo con segni di lotta e di guerra, ingrossiamo i muscoli in palestra, indossiamo stivali pseudo-militari anche quando ci son 40°C all'ombra e portiamo specchi scuri sugli occhi non certo per proteggerci dal sole.
Proiettiamo poi anche fuori di noi questo bisogno di protezione. Le nostre auto assomigliano sempre di più a dei mezzi corazzati in lucida livrea, le nostre case sono blocchi blindati, assumiamo e compriamo tutto ciò che ci possa far apparire invincibili e forti.
Siamo fragili e siamo lenti, sulle strade come nelle scelte.
Siamo fragili perché l'unico modo per vivere non è perpetuare una ferita, tornando e ritornando milioni di volte nel passato, ma far sì che essa si cicatrizzi, ora e qui, nel presente.
Siamo lenti perché ogni corazza ha il suo peso e limita il movimento.
Se vuoi muoverti armonicamente nella vita, se vuoi essere in grado di sentirne la leggerezza, la fluidità, allora ogni giorno perdona e riparti.
Non riceverai meno ferite per questo, ma la tua protezione non sarà fatta di duro carapace, ma di luce. E la luce va dappertutto e nulla la potrà mai fermare.


giovedì 16 luglio 2015

perché ne vale la pena

Pomeriggio afoso. Due amici su una panchina rallentano il tempo attorno a loro; è il potere della conversazione autentica, quando due universi si sfiorano e il profondo meraviglioso essere umano affiora per qualche istante in tutto il suo fragile splendore.
Si parla di ferite ricevute. A volte l'uomo, maschio o femmina che sia, nelle relazioni dà il peggio di sé, manca persino di quel minimo di rispetto che si concede anche al nemico o allo sconosciuto. Quando una storia finisce, crolla qualcosa da entrambe le parti, e chi ferisce spesso non è il più forte, ma il meno capace, il meno risolto. Si scappa per non sentire il fragore di un mondo di illusioni infranto.
Da una ferita può nascere il bisogno di proteggersi e quindi la chiusura che però non è vitale per l'essere umano.

Attorno alla panchina dei ragazzini pattinano. Uno di loro cade una, due, tre volte, ma sempre si rialza e riparte, nonostante le evidenti escoriazioni. Deve far male cadere. Eppure il ragazzino si rialza, tutte le volte, e riparte, tutte le volte.
Da una ferita può nascere il desiderio di trovare il giusto equilibrio, di diventare esperti, abili, armoniosi.

I due amici si separano e il tempo riprende.
Resta il sorriso sul volto del ragazzino che cade per la quarta volta.
Perché ne vale la pena.

martedì 7 luglio 2015

pi greco

Pi greco. 
È una costante che indica un rapporto.
È irrazionale, ovvero è una grandezza incommensurabile, priva di un sottomultiplo comune.
È trascendente, ovvero non è esprimibile usando un numero finito di interi, di frazioni e di loro radici.
È la prima lettera di περίμετρος (perimetros), che significa «misura attorno».

Ogni volta che occorre chiudere un cerchio nella vita, ci vuole pi greco. Ci vuole un briciolo di trascendenza, occorre andare oltre i confini della mente, le misure, le aspettative e le verifiche.
Occorre andare attorno alla realtà per vederla in modo completo, occorre andarci dentro, fino al centro, per capirne il rapporto con l'esterno, perché l'uomo è un numero complesso, spesso non intero.
Pi greco è quella scintilla, irrazionale per la mente che ha sempre bisogno di porre un limite, che è però vitale per contenere le relazioni.
Ad ogni incontro infatti, che tu ne sia consapevole o no, inizia un cerchio.
A volte si fermerà alla prima svolta e non si completerà, a volte sarà per sempre e sarà sigillato da un anello, a volte verrà spezzato e allora dovrai essere bravo a chiuderlo, o resterai legato a un arco che non ritorna, e tu non sarai mai più intero.
Ci vuole pi greco nella vita.
Lo sanno i pianeti e lo sanno i tronchi degli alberi.
E lo sa pure il sangue.





venerdì 3 luglio 2015

risolto

Se non sei risolto, prima o poi la vita te lo mostrerà.
Arriverà inaspettato come un agguato e colpirà dritto allo stomaco, nel cuore della tua memoria emotiva.
Un mare di dolore ti sommergerà, ti sentirai trafiggere da milioni di piccoli aghi, il sangue perderà il suo rosso vivere e ti sentirai al buio e da solo.
Odi quella sensazione, è una vita che la rifuggi, cerchi di controllarla con la ragione, di evitarla con dei complicati giochi di ruolo, ma se non sei risolto, arriverà il momento in cui ti troverà e ti invaderà, ancora e ancora.
Non importa con che forma si presenterà. In quel momento, ferite vecchissime ti torneranno alla mente, rivivrai eventi, ricorderai parole e persone a cui mai pensi, tutto dentro il tuo stomaco, pesante come milioni di galassie, nero come il più profondo degli abissi e fulmineo come il chiudersi delle fauci di un predatore. Ti sentirai privo di forze e ti vorrai lasciare cadere, o proverai la rabbia dell'esplosione, o entrambe le cose.
Non temere.
Respira.
Osserva.
Accetta.
Lascia andare il pensiero nascosto che ti ha tenuto ancorato a ciò che non esiste più.
Ringrazia.
Tuo è il potere e la forza.
Respira e cammina. Sciolto, Risolto e Risorto.





mercoledì 1 luglio 2015

six months

Ci vogliono 9 mesi per dare alla luce un bambino, 365 giorni per girare intorno al sole, 24 ore per vedere un'alba nuova, un istante per innamorarsi, una vita, a volte, per cambiare rotta.
I miei ultimi sei mesi sono stati una guerra e una trincea, una corsa di resistenza, una rivoluzione. Ho trovato sul mio cammino sfide, imprevisti, ostacoli, vittorie, paure, amici e sorelle. Ho condiviso, sostenuto, combattuto, accettato, sorriso, amato e abbracciato. Ho perso peso e debolezza, ho acquistato forza e determinazione, ho scoperto me stessa e lasciato andare chi ho deciso di non essere. Mi sono messa in gioco, ho rischiato, ho scoperto i giochi e sono andata dritta al bersaglio, perché la vita non è una perdita di tempo.
Avevo desiderato tutto questo? Sì.
Non in questa forma, non in questa dimensione, ma la vita non ti presenta mai i tuoi sogni come te li eri immaginati. Se chiedi di poter cambiare, di crescere, di evolvere e di risolverti, la vita non mancherà di accontentarti, solo non sarà mai come te lo aspettavi.
Tuttavia quando arriva, e arriva, sii certo, non la scansare, non la evitare, non dire no alla novità che ti coglie sempre un poco impreparato. E fidati, fidati, e ringrazia, anche quando fa male, anche quando non vuoi, anche quando pensi di non potercela fare, vai fino in fondo.
Sei mesi per una rivoluzione fa mezzo giro attorno al sole.
Un gran bel viaggio.