sabato 31 agosto 2013

abitare

La radice latina del verbo abitare deriva da habere, ovvero avere. Abitare è un intensificativo del verbo avere, più propriamente significa continuare ad avere. Abitare  implica possesso di o stanziamento in uno spazio fisico senza soluzione di continuità, prevede l'esserci, starci, anche domani, toglie immediatamente dubbio sul futuro, offre stabilità, garantisce sicurezza, elimina il mutamento, annulla il movimento.
L'uomo un tempo era nomade, non possedeva un'abitazione, abitava non un edificio, un luogo circoscritto, ma uno spazio, la terra stessa, mantenendosi in continuo movimento e così conservando una proprietà fondamentale: la centratura in se stesso.
Poi l'evoluzione ha spinto l'uomo a fermarsi e ad abitare luoghi circoscritti, definiti, posseduti e sanciti nel tempo da norme e leggi, tasse e tributi.
Le nostre abitazioni sono il luogo in cui mettiamo radici, in cui viviamo gli affetti, l'intimità, investiamo energie, tempo e risorse per prenderci cura del nostro spazio privato, lo custodiamo, lo proteggiamo con sistemi di allarme sofisticatissimi, lo arrediamo, lo riempiamo di oggetti, esperienze, vissuti, memorie.
Abitiamo comunque ancora su un pianeta, la terra, di cui non ci prendiamo più cura, anzi, soffochiamo, inquiniamo, sporchiamo, imbrattiamo di chimica e cemento ogni spazio vitale. E' come se avvelenassimo le pareti della nostra casa con vernici tossiche, tappezzassimo le stanze di spazzatura, le arredassimo con oggetti inquinanti di ogni genere, è come se tenessimo nel nostro giardino, tra l'olivo secolare e la siepe di ortensie, dei bidoni di rifiuti radiattivi.
Nessuno lo farebbe mai, e allora perché? Perché l'uomo devasta la terra, la sua casa?
L'uomo inquina e sfrutta la terra invece di abitarla da quando ha smesso di abitare un altro luogo, sacro, profondo, meraviglioso. L'uomo ha smesso di abitare la terra da quando ha smesso di abitare se stesso.
Ogni essere vivente, ogni forma vivente sulla terra è fatta per la vita, una vita di equilibrio e armonia. Lo dice il nostro scheletro, lo dicono i nostri muscoli, i nostri sensi, lo gridano i mari, lo cantano gli uccelli, lo salutano le corse dei felini nella savana, tutto, tutto è assolutamente meraviglioso.
Ma l'uomo non abita più se stesso e così non sa dov'è, e non gli bastano i gps e i satelliti per ritrovarsi. Le mode, le culture, le ideologie, le religioni, dimostrano semplicemente che l'uomo non sa chi è, non abita più se stesso, e così si fa abitare da tutto e da tutti.
Nella Bibbia due sono i richiami che mi vengono in mente. In Genesi, Dio chiede ad Abramo, dopo il peccato originale, Dove sei? Quasi a dire che che il simbolo e conseguenza del peccato originale è stata la perdita della centratura in se stessi. Non ci si nasconde se non quando si ha paura, e l'uomo aveva vergogna e paura di se stesso.
La seconda eco è nel vangelo di Giovanni, quando Gesù afferma, Se uno mi ama osserverà la mia parola; il Padre mio lo amerà, e verremo da lui e faremo dimora presso di lui.
Il peccato originale ha sradicato l'uomo dalla sua sacra dimora, Dio stesso, ma vivere nell'amore della Vita, della Verità, ci permette di essere abitati dal sacro, di essere dimora per lo spirito.
Abitare se stessi è amore.
Abitare se stessi dà pace, da forza, dà gioia, dà un incredibile, dolce sorriso in volto.
Abitare se stessi è gratitudine.
Abitare se stessi è pacifica accettazione della realtà.
Abitare se stessi è stare nel presente, unico tempo esistente.
Abitare se stessi è essere in contatto, è essere collegati.
Abitare se tessi è danzare, vibrare nel creato.
Abitare se stessi è un volo, magnifico, eterno.




lunedì 26 agosto 2013

mutilati

Nella nostra società non c'è spazio per le menomazioni. Applaudiamo la bellezza, fatta di armonia, integrità, perfezione di forme, equilibri di colori e misure. Fin qui tutto ok, viviamo su un pianeta che, se e quando ci prendiamo il tempo e la voglia di osservarlo bene, è bellissimo; nonostante le devastazioni che riusciamo ad infliggere alla terra, è ancora bellissima, quindi la bellezza e il fascino ci appartengono.
Tuttavia nella nostra società ogni minimo difetto o imperfezione va curato, come fosse un morbo, una malattia, un mostro da cui fuggire, come nelle favole di orchi e principesse. Esistono rimedi per tutto, l'acne, le rughe, la cellulite, i peli superflui (può essere la biologia superflua?), e se proprio il difetto non si può combattere, allora va coperto, cammuffato, ed ecco le tinte per capelli, i fondotinta, i tacchi alti, l'elenco potrebbe diventare infinito.
Esistono però menomazioni ben più gravi e profonde che non si posso nascondere con protesi artificiali, bisturi e silicone. Sono ferite interiori, tagli, perdite, c'è molto di confuso, ferito, arrabbiato e rimosso sotto pelle. Ed è lì che però si prendono le decisioni fondamentali, sotto pelle.
Ho ben presente una persona che è stata menomata a quattro anni. Era indifesa, non c'era nessuno a difenderla, non seppe difendersi. E come si fa a quattro anni a difendersi? L'istinto di sopravvivenza è potente, e se non scappiamo davanti al male, è solo perché vogliamo bene a chi ce ne sta facendo. E infatti qualcuno le ha fatto del male, come mai si dovrebbe a un bambino.
Bene, quella persona da allora non ha fatto che scappare da un mondo che la spaventava, perché non poteva più cercare protezione in chi avrebbe dovuto proteggerla. E non solo, ha nascosto la sua parte ferita per non mostrarla al mondo, per non riceverne inutile commiserazione, o peggio, condanna. In un mondo dove non c'è spazio per le ferite, non c'è tempo per le cure, in un mondo che o sei in prima fila o non sei nessuno, come si fa?
Giusta o sbagliata che sia tale scelta, scappare significa non vivere. Se scappi hai paura, se hai paura non ami, se non ami, non stai vivendo. E tutta la tua esistenza rischia di essere tempo perso.
Ne vedo tante di persone menomate che nascondono se stessi a se stessi e agli altri.
Ma voglio dirvi una cosa: siete sopravvissuti, e siete ancora qui. Siete sopravvissuti e questo vuol dire che siete più forti, attaccati alla vita. Non sentitevi vittime, non lo siete. Il vostro istinto vi ha salvato, il resto non conta.
Sopravvivere significa vivere sopra. Ad ali spiegate, più lontano, più a lungo. Ci vuole coraggio, il coraggio di amare se stessi così come siamo, ma ne vale la pena.
E un pizzico di sano, vitale menefreghismo.



domenica 25 agosto 2013

cervello interiore

Nell'arco della nostra intera esistenza, quanto tempo viviamo veramente? Quando tempo ci sentiamo veramente collegati a noi stessi e tutto quel che ci circonda, pienamente felici, pieni di energia, vivi? Non sto parlando di fare cose estreme, provare ebbrezze adrenaliniche, sesso sfrenato o qualsiasi cosa di "eccessivo" a cui pensiamo di dover ricorrere per raggiungere stadi superiori di benessere comunque provvisorio. Parlo di vivere veramente, secondo il proprio sentire, secondo la propria interiore libertà, secondo quel ganglio fondamentale che spesso chiamiamo cuore, ma che francamente non mi piace come termine, essendo scorrettamente utilizzato, abusato in tanti finti sentimentalismi mediatici. No, parlo di un ganglio più viscerale, molto profondo, una specie di cervello, di gps, di bussola interiore che non sbaglia mai un colpo. E' un cervello forte, sereno, pacifico, inamovibile, che nessuna tempesta può scuotere, nessun uragano travolgere. Basta ascoltarlo.
Spesso, però, ascoltiamo altro. Ascoltiamo la mente, fatta di paure, insicurezze, morali, permessi e divieti, e ci perdiamo letteralmente in essa, perdendoci la vita.
Un test per verificare se stiamo vivendo con il cervello interiore o con la mente? Il grado di felicità in ogni circostanza. Ascoltare il cervello interiore non significa evitare situazioni difficili, spiacevoli, dolorose. No, solo che ci permette di viverle meglio, senza la paura che consuma la nostra energia. SI può vivere tutto, rimamendo forti in se stessi, senza mai perdere totalmente l'equilibrio. Allora, per esempio, si può dire ti voglio bene a qualcuno fregandosene se saremo ricambiati, che tanto quello che importa è amare, molto più che essere amati.
Altro segnale importante è proprio l'energia interiore e fisica che conserviamo. Allora si può riuscire a fare 4.000 metri di dislivello in due giorni e non sentire fatica, mentre a volte una giornata di lavoro ci sfinisce. Stai seguendo te stesso, sei connesso alla vita, la vita di ricambia di tutta l'energia che stai
Un altro segnale è il saper stare nel presente, senza scappare nel passato, in futuri fantasticati, in fughe continue dalla realtà.
La realtà è la cosa più difficile e bella da accettare, ma se la si ascolta con il cervello interiore, è davvero, immensamente sorprendente e luminosa. E per me bello è anche il pendio roccioso che dà le vertigine, la tempesta che squassa, il fragore dei tuoni. La realtà non è quella cosa educolcorata che ci viene spacciata come vita da educazioni, religioni, mode. Spesso non profuma nemmeno di chanel n. 5. Ma non conosce paura, non conosce incertezza, non conoscere rimpianti. Non è poco.

giovedì 22 agosto 2013

nudi e crudi

Esiste una casa di saponi e prodotti per il corpo tutti naturali che vanta come slogan "nudi e crudi", atto a sottolineare la politica ecologista dei fondatori: niente confezioni, se non ridotte al minimo e in materiale riciclato e ricliclabile; i prodotti vengono realizzati in modo da poter essere venduti solidi e sfusi, quindi nudi e crudi.
Eppure quando vai alla cassa, la commessa avvolge le saponette o le tavolette di shampoo  in fogli di carta con sopra stampato il brand dell'azienda, come a dire che nudi e crudi non si può proprio uscire, il solito, antichissimo velo di pudore resta.
Ed è lo stesso velo di pudore che a volte ci impedisce di dire quello che proviamo veramente, abituati come siamo a mettere tutto dentro scatole e contenitori, compresi i sentimenti, le verità, i ti amo o non ti amo.
Sono scatole di paura? Di educazione? Morale, cultura?
Molto, molto tempo fa, c'era una piccola tribù. Il capo di quella tribù un giorno radunò tutti e li fece sedere in cerchio in un prato. Poi chiese a ciascuno di dire a cosa si sentiva simile. A turno, ogni uomo e donna espresse sinceramente con un'immagine, un oggetto, un animale, il ritratto di se stesso, di come si vedeva dentro. Così comparvero alberi senza radici, animali zoppicanti, sandali mai usati, fiori giganteschi, fragili libellule. Ogni immagine parlava di ferite, insicurezze, gioie, certezze, svolte, ma anche giudizi e dialoghi interiori più o meno felici.
Poi il capo scelse l'immagine espressa da un membro del gruppo: era l'immagine di una stella isolata nell'universo, un po' tremula, poco luminosa, appartata, e chiese a tutti che cosa si sentivano di dire a quell'immagine, notate bene, non alla persona che aveva espresso quell'immagine, ma all'immagine stessa. Vi fu silenzio, poi qualcuno cominciò a dire... Le direi di provare ad avvicinarsi... le direi di non aver paura di brillare.. le direi... Suggerimenti, consigli, tutti mirati a cambiare la posizione e lo stato di quella stella lontana.
Il capo infine domandò: Secondo voi, nello spazio infinito dell'universo, fatto di milioni di galassie senza fine, nei milioni di anni da quando l'universo esiste, in tutta la storia della vita, c'è spazio per una stella poco luminosa? E poi continuò a chiedere se c'era spazio per ciascuna delle immagini che erano state espresse, c'è spazio per un albero con un ramo bruciato, c'è spazio per un fiore che sboccia, c'è spazio per una barca nel mare, c'è spazio?
Sì, la risposta è sì. Nasciamo nudi e crudi, con tutto lo spazio della vita e dell'universo attorno. Poi iniziano le regole, le morali, l'educazione affettiva e sociale, il bene e il male, il giusto e sbagliato, il piaccio non piaccio. Tutto deve entrare in una scatola, un contenitore con un'etichetta sopra. Non si può andare in giro nudi e crudi, non si può dire la nuda verità, non si può mettere a nudo i propri sentimenti. E' rischioso, ti farai male, le scatole servono per proteggerti, i veli per coprirti, meglio ancora se quelle scatole le chiudi a chiave, se metti una serratura. Ma da cosa, da chi, dobbiamo proteggerci?
Le scatole tolgono, non creano spazio. Apparentemente fanno ordine, certo, ma provate a mettere un bosco dentro una scatola, un oceano dentro una scatola, la fantasia di un bambino dentro una scatola. E' disordine una foresta? E' confusione un oceano? E' disorganizzazione il pulsare vitale di un bambino?
Vivere di cuore fa sentire vulnerabili a volte, sì, ma è l'unico vero modo con cui voglio muovermi su questa terra. Una terra che è ancora, in certi luoghi, nuda e cruda. E voglio esserlo anch'io.

domenica 11 agosto 2013

keep your love

Sei hai amato, almeno una volta sei stato tradito. Se hai amato, almeno una volta sei stato ferito. Se hai amato, almeno una volta sei stato ingannato. Se hai amato, almeno una volta sei stato abbandonato. Se hai amato, almeno una volta hai provato dolore. Se hai amato, almeno una volta qualcosa ti è stato strappato. Se hai amato, almeno una volta hai visto non con gli occhi, almeno una volta hai capito non con la testa, almeno una volta sei andato oltre, e forse ti sei perso per un po'.
Sei hai amato, tieni te stesso, tieni te stesso. E' quanto di più grande, affascinante, immenso, sconvolgente ci sia.
Keep your head up, keep your love.