lunedì 5 dicembre 2016

gentile

Non si può rispondere al male con il male, o esso si accrescerà.
Non si può rispondere al male con il vittimismo, o esso si accrescerà.
Non si può rispondere al male con la lamentela, o esso si accrescerà.
Non si può rispondere al male con la polemica, o esso si accrescerà.
Non si può rispondere al male con il giudizio, o esso si accrescerà.
Non si può sconfiggere il male combattendo il male, o esso si ingrasserà soddisfatto.
Al male non interessa se hai ragione, se sei onesto, se credi in una religione, in una filosofia, in un'istituzione, in una morale, se sei buono, se fai sempre del tuo meglio, se sei bravo, se sei corretto.
Se ne frega assolutamente del tuo bisogno di riconoscimento, rispetto, merito, giustizia.
Si nutre della tua energia nel momento stesso in cui tu entri in conflitto.
Il male non crea, non è dalla vita e per la vita. Per vivere, quindi, ha bisogno di energia, di tutta l'energia che può succhiare fino all'osso da ogni creatura, buona o cattiva che sia.
Si prende i figli del male, e si prende i figli della luce quando cadono nell'inganno della lotta.
Non cercare nemmeno di discutere con il male, al male basta solo uno spiraglio, piccolo, infinitesimo della tua mente, per entrarti dentro e prendersi tutto quel che sei.
Di fronte al male, resta calmo e inamovibile, come la più salda delle montagne.
Rispondi al male con la gentilezza se puoi.
Non dubitare che sei nato per essere gentile. Non dubitare che hai bisogno di gentilezza quanto dell'aria che respiri e dell'acqua che bevi ogni singolo giorno. Prova a viverne senza, prova a non donarla per qualche giorno e poi domandati perché ti senti triste, arrabbiato, sconfitto o sempre teso.
Rispondi al male con la luce della pace, del sorriso, dello sguardo concentrato su ciò che il male vuole tenere all'oscuro, ingannando e ottenebrando la tua mente. Volta il tuo sguardo oltre, là dove il male non vuole che il tuo cuore dimori. Stai nella luce della verità: le tenebre nulla possono sulla luce. Se puoi, usa come unica arma la gentilezza profonda del tuo cuore che dimora nella luce della pace e nella pace della luce.
Non rispondere affatto al male se esso si dimostra violento e assassino.
A volte il silenzio è quanto di più mansueto, pacificante e potente tu possa usare per non nutrire il male. Potresti perdere la vita, ma non la pace. E una vita senza pace è già inferno.
Il male non finirà a colpi di sentenze eque, di guerre giuste, di lotte civili legittime, di marce pacifiche. Il male ingrassa ad ogni conflitto, sia esso giusto o ingiusto. Non fa differenza. Il male vince quando provoca divisione, perché la divisione diminuisce la forza e la potenza dell'uomo. Nessuna stella è sola, ma è nell'inganno della solitudine che ogni stella si spegne.
Il male finirà morto di fame e di sete quando i tuoi occhi brilleranno di luce nelle tenebre.
Sii gentile e sorridi. Sempre.

lunedì 12 settembre 2016

valuta

Immaginiamo che sopra un tavolo ci siano cinque scatole fatte a mano, realizzate tutte con lo stesso materiale e tutte dello stesso colore, e che ci venga chiesto di sceglierne una a cui attribuire un premio. Quale criterio utilizzeremo? Probabilmente sceglieremo quella rifinita meglio, escludendo le scatole che presentino delle imperfezioni come ad esempio ammaccature, strisci, mancanza di simmetria tra le parti.
Ora, immaginiamo che prima di effettuare la scelta, ci venga detto che una delle scatole è stata fatta da un bambino con disabilità. Forse potremmo essere spinti a scegliere proprio quella scatola per premiare l'impegno e lo sforzo di una persona che ha lavorato con uno svantaggio rispetto agli altri. Immaginiamo sempre che ci venga anche detto che una delle persone che ha costruito una delle scatole sia un imbroglione, un ladro e un violento. Forse saremo influenzati da tale informazioni e vorremo evitare di scegliere proprio quella scatola. O ancora, potrebbe venirci detto che una delle scatole è stata realizzata da una vittima di guerra. Anche in questo caso potremmo modificare i nostri criteri di valutazione, e ritenere che qualche difetto non è poi così importante, considerando il vissuto della persona che lo ha realizzato. E qui, se ve ne siete accorti, ci siamo leggermente spostati dalla valutazione dell'oggetto alla valutazione della persona. Pericoloso.
Il termine valutazione deriva dall’antico valuto, risalente al latino valitus (validus), participio passato di Valeo, valére: essere forte, stare bene, avere valore, avere prezzo.
Nel suo significato etimologico il termine valutazione rimanda all'idea di attribuire un valore, di dare un peso, stimare, avere in considerazione. Rappresenta dunque un processo di mediazione, un rapporto tra chi valuta e la realtà che viene valutata. Valutiamo in continuazione. Fa parte, tutto sommato, di un processo necessario per giungere a una scelta. Tra maglietta maniche corte o maniche lunghe forse sceglieremo in base al tempo atmosferico. E fin qui nulla di male. 
Ma si può valutare un essere vivente? Perché significa entraci in relazione, significa stabilire un rapporto, basato sul qui e ora, non sull'ovunque e per sempre. E invece a volte le nostre valutazioni durano una vita intera.
Crediamo di poter essere oggettivi, almeno in campo professionale. Definiamo criteri, indicatori e descrittori. Ma qualsiasi sia lo strumento di misura, escluderemo sempre qualcosa, qualcosa che potrebbe dare esiti completamente diversi.
A nostra volta, veniamo valutati ogni singolo giorno. Chi lavora o studia lo sa bene, ma non è diverso in famiglia o con gli amici. Tutti produciamo e subiamo valutazione su qualsiasi ambito, dal carattere allo stile di vita, dalla cultura al cieto sociale, e così via. Pervasiva, sottile, continua, la valutazione è perennemente presente, e può nel tempo costruire gabbie di giudizio in cui l'essere umano si spegne a poco a poco. Perché la mente umana fisicamente si allinea alle menti che la circondano, e se viviamo in un ambiente continuamente valutante e giudicante, quale può essere la conseguenza se non la credenza radicata in quelle valutazioni?
Prenditi ogni giorno 5 minuti per uscire da questo inganno. Esci dal fango che rende la tua mente cieca, rigida, triste. Non è un voto che definisce il valore di un essere vivente, non è il conto in banca, non è la stima dei colleghi, non è l'amore del/la compagno/compagna, non è il ceto sociale, non sono gli amici o le persone influenti che fanno parte delle nostre cerchie, non è l'abbraccio dei figli o l'affetto del cane. Non lo sono nemmeno il successo o il fallimento in ciò che stai facendo ora.
In quei 5 minuti cerca, cerca la risposta. Quella vera, quella liberante, quella felice. O continua a fare i conti, ogni notte, sulle oscillazioni del mercato della tua valutazione.

venerdì 15 luglio 2016

altro

Luogo: baita in montagna a quote facilmente accessibili.
Tempo (cronologico): poco dopo mezzogiorno.
Tempo (meteorologico): cielo limpido, con qualche nuvola di passaggio, dopo due giorni di pioggia battente.
Temperatura: fresca, tendente al rialzo.
Scena: persone di età diverse stanno sedute ai tavoli, pranzano e conversano. Vi sono famiglie con bambini, anziani, coppie, gruppetti di amici. Piatti e bicchieri si riempiono e si vuotano secondo ritmi imprecisati. I camerieri, tutti giovani, si prendono cura dei clienti in modo cordiale e attento.
Clima: rilassato, almeno apparentemente (per comprendere cosa passa per il cervello delle persone occorre osservare con circospezione le discrepanze tratteggiate sul corpo, come una bocca aperta al sorriso sotto due occhi spenti, o una faccia distesa sopra un paio di spalle chiuse come un'armatura).
Non manca nulla per stare bene: un prato verdeggiante, l'ombra di abeti secolari intorno, il riposante sottofondo sonoro della natura circostante, buon cibo, presenza umana, non tanta, quel tanto che basta per sentirsi parte del consorzio umano senza dover per forza interagire con esso, insomma il giusto equilibrio tra il bisogno di essere con e il bisogno di non stare con membri della propria razza.
Eppure ravviso che qualcosa manca. Un indicibile segnale che si rende sensibile alla bocca dei polmoni mi dice che c'è altro nella vita oltre questo.
C'è altro là fuori, forse dietro le cime, o forse giù in città, forse in qualche sperduto villaggio dimenticato dal progresso o in una affollata via metropolitana sopraffatta dal progresso.
Che volto abbia, che sapore abbia, che lingua parli, che colore o forma prenda di mattina e di sera, non lo so. Ma c'è. Qualcos'altro oltre costituire una famiglia, oltre fare figli e perpetuare la specie, oltre costruirsi un'esistenza autosufficiente - per molti - e ad arricchirsi - per qualcuno. C'è altro oltre garantirsi una vecchiaia senza scosse ed imprevisti, dopo forse più di mezza vita di lavoro e sacrifici scolpiti in ogni ruga, c'è altro oltre gli affetti, pur bellissimi.
Me lo dice la pelle di un bambino, che vibra tutta quando sorride, perché c'è più verità nello sguardo di un bambino che in qualsiasi libro sacro, filosofia o scienza.
C'è altro.
Si chiama Vita, e molti di noi non l'hanno ancora mai incontrata.
O forse sì, ma non l'hanno riconosciuta.

Mi prende un irrefrenabile desiderio di fondermi tra cielo e nuvole. Guardo i miei scarponi consumati dall'usura. Riprendo il cammino. So già che non smetterò mai di cercare.




mercoledì 15 giugno 2016

petalo e osso

Mi cattura una domanda oggi, sotto questo cielo che respira e rischiara gli occhi.
Terra è terra, cielo è cielo, ma questa benedetta carna che mi lega alla vita si fa a volte densa. Di che è fatto l'uomo? E quanto pesa, alla fine, tutta la nostra esisteza che si accumula nonostante corra veloce, giorno dopo giorno?
La mente ha la capacità straordinaria di andare ovunque, raggiungere luoghi mai visti, persone scomparse o solo perdute di vista, sentieri mai presi e felicità o tristezze solo immaginate.
Sento, a volte, il bisogno di stare con le mie ossa, il bisogno di ridurre quegli spazi interiori emozionali impregnati di pelle e sangue.
Sì, a volte ho bisogno di stare da sola con le mie ossa e far tacere quel rimbombo che la vita produce quando ti è entrata in corpo e mente.
Perché le ossa non mentono e non si ingannano. E su di esse la vita ha il peso di un petalo che si appoggia piano.
Quando tutto pesa, ascolta le tue ossa. Ti sostengono, ti proteggono, ti fanno muovere in questa vita che si espande e si contrare, fino in fondo al viaggio.

lunedì 6 giugno 2016

monumentale

Beati i poveri in spirito.
I poveri sono in vertiginoso aumento. Cresce ad esempio il numero delle persone che cercano di raggiungere le coste europee: muoiono sulle rive africane ancora prima di partire, muoiono soffocate nelle stive dei barconi, muoiono inabissate nel mare, muoiono annegate a pochi metri di distanza dalle spiagge italiane. Il più delle volte non hanno un nome proprio, sono solo migranti, vittime, siriani, libanesi, africani... Sono altri, lontani, inesistenti. Se non dai un nome a una realtà, essa non esiste, ma se le dai un nome, escludi tutto il resto. Migrante non è mia zia, non è tuo nonno, non è sua cugina. Migrante non è nessuno che conosco.
Beati i costruttori di pace.
Anche i costruttori aumentano. Se di pace non so. Si inaugurano musei per onorare le vittime dell'immigrazione, si innalzano monumenti in loro ricordo, si compongono musiche e canzoni, si celebrano giornate della memoria. I musei hanno un nome, i munumenti una targa, le canzoni un titolo, un autore, un copyright. Difendiamo con più facilità uno spartito che una vita umana.
Monumentale. Monumentale mi appare la tragedia, monumentale l'indifferenza, monumentale la stupidità, monumentale la sfacciata arroganza di chi ha il potere di evitare ma non risolve, e contrito porge corone di fiori e stringe mani, innalza vuote parole di cordogolio e impegno civile, poi sale nella sua auto blindata e fa ritorno nella sua villa, protetta da telecamere e guardie armate contro l'insicurezza che preme alle porte delle nostre sane città europee, santificate da millenni di cultura e morale religiosa.
Monumentale è la quantità di acqua scesa in questi giorni sulla mia città. A ondate, come i migranti, si è riversata su questa terra che non è più in grado di accoglierla e si allaga.
Violenta e inquietante, come il grido di chi muore in mare, come le lacrime di chi non riesce più a trovare il volto della giustizia in nessun luogo. E nessun luogo potrà mai essere casa se la vita è sempre messa a repentaglio, se i più semplici diritti umani vengono calpestati, ignorati, persino violentemente abusati.
Mentre scrivo dalla finestra vedo una farfalla ondeggiare in giardino. Vorrei avere il suo coraggio. Perché pur fragile, vola, pur delicata, vive tutte le sue ventiquattro ore.
Finirà forse schiacciata tra qualche minuto, ma tra queste case e questi prati, c'è tutto il suo spazio, e nessuno mai estirperà il suo diritto alla vita.
Fai, o Vita, che nessuno mai estirpi un'altra vita, nessuno mai la calunni, nessuno mai la sfrutti, nessuno mai la umili, nessuno mai la rigetti, nessuno mai la disprezzi, nessuno mai la lasci morire da sola, nel mare, a pochi metri da terra, quella terra che non abbiamo mai conquistato, ma che ci è stata donata per vivere, quella terra che è stata creata senza confini politici, perché della politica e del potere la vita non si interessa.
Lava in noi, o Pioggia, l'incrostazione dell'indifferenza, inondaci di consapevolezza e di misericordia, perché misericordia possiamo trovare.



martedì 17 maggio 2016

rotto

Quando qualcosa si rompe, che si fa?
Si prova ad aggiustare, rattoppare, riparare.
Ci ho riflettuto e mi son resa conto che non sono azioni simili.
Per riparare qualcosa, occorre innanzitutto comprendere dov'è il guasto. Occore quindi conoscerne la struttura interna, i meccanismi, la funzione di ogni singolo elemento. Individuato il guasto, occorre capire se è possibile aggiustare quella parte, o se è necessario sostituirla. Ammesso poi che sia disponibile un pezzo nuovo, occorre saperlo riposizionare correttamente, senza interferire con ciò che è integro.
Un rattoppo permette invece di aggiustare uno strappo, un taglio, una breccia.
In questo caso l'abilità dell'operazione renderà più o meno visibile la ricucitura, ma di certo l'oggetto non avrà perso la capacità di fare ciò che per cui è stato pensato. Un paio di pantaloni continueranno a coprire dignitosamente il mio corpo anche con uno strappo. Verrà forse meno il suo valore estetico, ma non per questo smetterà di funzionare totalmente.
Nel caso invece del meccanismo da riparare, il guasto potrebbe essere tale da compromettere non tanto il valore estetico, ma il funzionamento stesso dell'oggetto, ovvero la sua stessa essenza. Un orologio rotto, non potrà più dirmi l'ora, anche se cinturino, cassa, quadrante e corona sono ancora perfetti.

E l'uomo, quando si rompe, cosa perde e come può essere rattoppato, riparato, aggiustato?
Possiamo curare innumerevoli infermità e ferite, torsioni e fratture, disagi della psiche e patologie del corpo, malattie che ci aggrediscono dall'interno e malattie che ci aggrediscono dall'esterno. Ma quando qualcosa non si può aggiustare, quando l'uomo perde il senso estetico di se stesso, e non mi riferisco solo alla bellezza apparente, e al contempo parte delle sue funzioni, che si fa?
Come si rapporta un uomo a pezzi con se stesso, con gli altri e con la Vita?
Se non si è in grado di rimettere insieme i pezzi, come ci si sente? E dopo, che si fa?
Mentre guardo i miei cocci rotti, oggi non ho risposte.
Cerco, invece, la voce del mio branco, la voce di voi esseri umani, che tanto a volte mi spaventate e mi confondete, per avere quel meraviglioso fantastico confronto di esperienze che è tutta la ricchezza che si può accumulare veramente nella vita. Perché forse non li posso rimettere in ordine quei pezzi, e devo essere in grado di accettarlo, ma non so come si fa. Forse resterò rotta per sempre, e non so come sia vivere una vita con regole diverse dagli altri.
Non lo so e me lo domando, non lo so e mi attanaglia la paura di dover sentire, per sempre, il silenzio di un meccanismo rotto, la sua paralisi, la sua triste inadeguatezza.
Perché un frigorifero rotto, lo puoi anche buttare, ma un uomo, un uomo no.
La diversità esiste, la disabilità si costruisce. Purtroppo.

lunedì 25 aprile 2016

punto linea punto

Mi hanno sempre insegnato che per due punti passa una e una sola retta.
Ma poi ho scoperto che la geometria non è la migliore arte con cui affrontare la vita.
Tra me e un desiderio, un obiettivo, un sogno, non è mai passata una e una sola retta, semmai un groviglio di segmenti, curve e controcurve, salti nel vuoto e svolte impreviste.
Da poco però ho scoperto che due punti e una linea possono essere molto utili per trovare un terzo punto, profondo e di una bellezza sconvolgente, dentro di noi.
Per farlo occorre aggiungere un ultimo elemento, quanto mai vitale: il movimento.
Prendi una slackline, che non è altro che un nome inglese appiccicato a una fettuccia elastica larga appena pochi centimentri e lunga a piacere.
Prendi due punti fermi e fissa ad essi la slack, in modo che sia ben tesa e sospesa da terra quel tanto che basta per farti staccare i piedi dal suolo e dalle tue certezze.
Prova ora a salire sulla fettuccia e a rimanere in equilibrio, poi anche a camminarci sopra.
Ed ecco che qualcosa dentro di te comincia a muoversi nervosamente alla ricerca quasi disperata di quel controllo che hai appena perso in meno di un secondo.
Davvero credi di controllare qualcosa della tua vita?
Qui, su questa linea tesa davanti il tuo sguardo, sembra non esserci posto per te, è troppo stretta, troppo imprevedibile, quasi estranea al tuo linguaggio.
Non sembra interessata all'immagine che hai di te stesso o a quella che gli altri ti rimandano, al ruolo sociale che occupi, alla cultura che hai accumulato nel tempo, alle tue prestazioni sportive, al lavoro che svolgi, al tuo conto in banca.
All'inizio rifiuti l'idea di essere totalmente respinto, il tuo cervello annaspa in questa repentina depradazione dei suoi falsi capisaldi, e il tuo respiro comincia a tendersi. Non vuoi perdere il controllo. Cadi.
Se non ti arrendi, scopri che non c'è posto nemmeno per le tue incertezze, per i tuoi no, per i tuoi dubbi, la tua autocommiserazione, la sfiducia in te stesso.
Respiri e cadi, respiri e cadi, non riesci a fare altro.
Giudichi la cosa un futile gioco, un'inutile perdita di tempo e decidi di smettere? O scegli di riprovarci?
Se non ti arrendi, cominci a comprendere che di "tuo" qui non ci sta proprio nulla, pesa tutto troppo, tutto ti sbilancia, e più tu cerchi di controllare la situazione, più ti sforzi di stare in piedi sulla fettuccia, più diventi rigido e cadi, inevitabilmente cadi.
Una frazione di secondo e giù. Un'altra frazione di secondo e sei di nuovo giù.
Intanto ti fai mille domande, pensi a cosa sia giusto fare, quale sia la sequenza corretta, come mettere la pianta del piede, cerchi una procedura, un gesto da imitare. E intanto sei di nuovo a terra. I tuoi pensieri pesano. La tua paura di cadere ti fa cadere.
Anche se non ti guardi attorno, di domandi se qualcuno ti sta guardando. Ti domandi cosa pensa di te, fosse anche un perfetto estraneo. E cadi.
Non c'è posto per gli altri sulla fettuccia.
Respira e convinciti che la fettuccia può accettare solo te.
Solo quando lasci tutto e accetti di non rimanere attaccato alla caduta, quando non fai calcoli e non proietti aspettative, allora, solo allora, resti in equilibrio, flessuoso come un felino, mobile come una farfalla. Eccolo lì, il tuo terzo punto, quello che hai dentro di te, quello che sei dentro di te, quello che sa stare nel presente e ci sta meravigliosamente a suo agio, senza il minimo sforzo.
Con un po' di allenamento poi, e un sorriso aperto all'ascolto, scoprirai che i limiti si possono spostare, perché la linea non esiste, esiste solo il passo che fai.
Così è nella vita, più o meno credo... O pensi che non siamo nati per questo?



mercoledì 20 aprile 2016

cannibali

L'essere umano moderno è allo stesso tempo un consumatore consumato e un bene di consumo ad uso di cannibali.
Accecato dalla sua stessa voracità di benessere effimero e felicità illusoria, l'uomo moderno non è in grado di liberarsi dalla stretta morsa dei cannibali. Li percepisce, li biasima, li critica, li condanna a voce alta, ma non se ne libera perché sono proprio i cannibali a mantenerlo nel comodo, sicuro e finto benessere della sua esistenza meschina.

Chi sono i cannibali è ovvio. Chi detiene il potere si nutre dell'energia dell'essere umano succhiandogli tutta la linfa vitale che può.
L'addestramento ad essere beni di consumo e consumatori comincia subito, appena nati. Prima in modo indiretto, attraverso le cure che riceviamo dai nostri care-taker, in seguito in modo diretto, attraverso il sistematico lavaggio del cervello trasmesso h24 dal più potente strumento di educazione che è la televisione e propagato in modo virale dai social media.
 L'educazione, la scuola, dovrebbero portare alla libertà di pensiero, ma non è così. La libertà è sempre più gridata come slogan, ma nella pratica essa è repressa in modo scandaloso. Non nascondiamoci dietro miti pedagogici, buone intenzioni, riforme sociali. La libertà di insegnamento è solo una favola, la creazione del libero pensiero una vera e propria chimera. L'obiettivo delle varie agende europee è chiaro e ben definito, basta prendersi la pena di leggerne i documenti. Migliaia di documenti, certo, che nessun cittadino conosce appieno, eppure dovrebbero riguardarlo da vicino, perché la libertà, una volta ceduta, non torna facilmente indietro.
Scritto nero su bianco, l'obiettivo finale europeo è, di fatto, quello di addestrare lavoratori per arricchire e far progredire non certo il consesso umano, ma il sistema. Se davvero lo scopo ultimo fosse il pieno sviluppo delle potenzialità umane, allora ogni schiavitù dovrebbe finire ora, ogni forma di repressione dovrebbe finire ora, ogni forma di povertà dovrebbe finire ora.

La verità è che un sistema non può mai riformarsi dal suo interno, sarebbe come avere una malattia autoimmune. Ogni organismo, infatti, ha come scopo principale l'autoconservazione. Einstein affermava che "un problema non può essere risolto allo stesso livello di consapevolezza che l'ha generato".  Proviamo ad applicare questo assioma alla nostra cultura e società. La risposta dell'Europa alla crisi del consumismo e allo spreco di risorse ed energie che esso ha generato è a dir poco geniale: aumentare la produzione e la competitività. I conti però ci dicono che il materialismo e il consumismo, attraverso la concentrazione della ricchezza, hanno prodotto più povertà che benessere. Continuare sulla stessa strada non può certo portare alla soluzione della diseguaglianza, ma solo ad alimentare altra diseguaglianza, più schiacciante, turpe e feroce. E tale diseguaglianza, con il volto tragico dell'immigrazione, sta ora premendo ai confini del sistema che l'ha generata.

Non siamo più poveri, siamo solo più depredati, in modo ormai scandalosamente volgare.
Non è una crisi economica quella che stiamo vivendo, ma una calcolata ripartizione del potere e della ricchezza in chiave oligarchica. Ne è un esempio il mercato dell'esclusività. Chiudono le fabbriche, ma aprono showroom di veicoli di lusso, il cui mercato, si vedano le fonti ufficiali, è in grande espansione. Si svendono le case, ma si costruiscono resort a 5 stelle nel centro delle nostre città con spa ad uso esclusivo del singolo cliente.
Il consumatore consumato è vorace, il suo ego famelico non prevede rinunce, non concepisce fatiche, resta scioccato dalla semplice idea di non possedere tutto quello che può essere comprato.
Il consumatore non si accorge che ha totalmente consumato le sue energie psicofisiche, è ormai distantissimo da un seppur lieve barlume di lucidità. non ha tempo per riflettere, per ascoltarsi, dentro sentirebbe solo la replica di mille spot televisivi. Ogni mattina cerca allo specchio il modello o la modella a cui deve a tutti costi assomigliare, di cui imita ormai le mosse a perfezione, e non cerca, perché non sa nemmeno più che esista, il suo vero se stesso.

Ma la vita che abbiamo, ricordatelo, è una.
Se qualche volta ti svegli all'improvviso notte e non riesci più a dormire, se qualche piccola o grande malattia ti sta accompagnando da tempo, domandati: sono libero?



giovedì 18 febbraio 2016

il frutto

Ogni mio giorno comincia alle prime luci dell'alba. Lungo le strade del mio quartiere con la notte ancora addosso, il mio passo e il mio respiro si prendono il prezioso tempo dell'ascolto. La vita già canta a quell'ora, un canto senza pubblico né applausi.
Faccio un mestiere che dà poche soddisfazioni, molti crucci, ed è pure mal pagato e mal visto.
Sono però a contatto con la più straordinaria forza vitale dell'universo, tanto è sconfinata l'energia che può emanare. Affascinante più delle stelle dell'universo, complessa più della fisica quantistica, vibrante più di un concerto della mia band preferita, ogni giorno ho a che fare con una fetta di umanità compresa tra gli 11 e i 14 anni.
Vita pura, a dosi massicce di 200 ragazzi all'anno, con le loro storie alle spalle, e posso garantire che molti hanno davvero pesi enormi già da sopportare.
Passano in fretta tre anni. Di tutto ciò che vivo con loro e per loro, non faccio in tempo a vedere i frutti. Il mio è un lavoro di semina, non di raccolto.
Ma poi, inaspettato come il vento, un giorno capita che mi arrivi un messaggio scritto su carta digitale da un'ex studentessa.
Parole che gridano.
Parole che cercano.
Parole che desiderano.
Parole che si interrogano.
Parole che vogliono respirare.
Parole che vogliono costruire.
Parole che vogliono amare questo mondo e questa umanità, che vogliono fare della propria vita una meraviglia, perché la vita è davvero meraviglia.
Parole che spazzano via, come una folata di vento decisa, il dubbio malefico che mi accompagnava stamani nella mia passeggiata mattutina sul valore del mio lavoro che non fa fatturato, non procura prestigio né tanto meno ricchezza.
La Vita è così, ti mostra la verità in una mail nascosta tra altre 24 da leggere.
Ti dice che i frutti ci sono, ma che non te ne devi preoccupare. Di una cosa sii certo: il frutto in sé e per sé non metterà in mostra il tuo lavoro, ma sarà anche frutto del tuo lavoro.
Il frutto non è per te, ma per la vita e della vita.
Se sei un seminatore, il tuo compito è seminare. Adempi con cura al tuo compito.
La Vita ti dice anche che ci sono alberi con grandi potenzialità, che richiedono particolare cura. Se occorre potare e concimare, fallo al meglio, perché è prezioso ciò che hai tra le mani e sii onorato che la Vita abbia scelto te.
La Vita non vede e non conosce il potere, ma l'essere umano, non vede e non conosce il denaro, ma l'essere umano, non vede e non conosce la fama, ma l'essere umano.
La Vita non ama potere, denaro, fama, ma sempre e solo l'essere umano.
E ci chiama per nome, uno a uno. E non ne vuole perdere nemmeno uno di noi.
Ora dimmi se vale la pena donare chi sei e ciò che sei.
Ora dimmi se vale la pena spendersi un poco per amore di questa vita che è davvero una meraviglia.
Ora dimmi se puoi ancora stupirti e ringraziare per questa meraviglia che ti respira dentro, senza nemmeno far rumore.
Grazie Valentina.




















lunedì 1 febbraio 2016

la fine della fine

Quando finisce qualcosa di brutto, ringrazia.
Quando finisce qualcosa di bello, ringrazia.

Bello e brutto sono solo etichette dentro la tua testa.

Non ti attaccare mai a ciò e a chi incontri nella vita, mai.

Lo puoi fare, certo, puoi decidere di non lasciare, di rimanere attaccato a ciò che ormai è passato, ma sappi che, prima o poi, ogni cosa passa. Il peso del tuo affanno te lo darai tu stesso allora, secondo la tua scelta.

Sei hai amato e ora non è più, brinda alla vita.
Esci, cerca un luogo elevato e silenzioso, se puoi, o anche  un angolo tranquillo della tua casa, se ne hai una. Siediti e nel buio prova a sentire il passo dei lupi che in questo istante, in questo preciso istante, stanno correndo nelle praterie sotto un arco di luna che ha miliardi di anni, prova a sentire la voce del vento che in questo istante vola sulle altezze della terra, prova a sentire lo schiudersi delle palpebre di un bimbo che nasce ora, prova a sentire ora, in questo istante, tutta la gioia e il dolore che c'è in ogni punto della terra.

Se ci stai, se fai spazio nel respiro e nella mente, ti sentirai in breve tempo zuppo e grondante, colmo come una marea. Comprenderai che tutto passa, che tutto ha un suo inizio e una sua fine, e che tu non controlli né l'uno né l'altra.
Comprenderai allora, nelle viscere, nella gola, nel sangue, e in una parte eterna della tua mente, che la vita non ha fine. 
Lei vola, lei corre, lei salta, lei scroscia, lei schiude, lei schizza, lei cade, lei sfiora, lei accarezza, lei bisbiglia, lei guarda, lei tende sorriso, lei piega il capo, lei canta, lei pulsa, lei batte, lei scorre, scorre, scorre, senza fine, senza fine, senza fine.
Di una cosa sii certo: solo la fine avrà fine.

Brinda alla Vita, sorridi e brinda, sempre.
Lei sorride a te ogni istante.