venerdì 23 febbraio 2018

abdicare

Abdicare. Verbo da re, verbo di rinuncia.
Abdicare indica l'abbandono volontario del potere da parte di un sovrano. Per qualsiasi altra carica sono previste le dimissioni, atto con cui si scioglie un contratto, una dipendenza.

Il termine deriva dal latino ab - prefisso che indica distacco, allontanamento, deviazione da un retto sentiero - e dicare, con valore di consacrare/dichiarare. Abdicare riguarda dunque un allontanamento, un distacco dalla propria consacrazione.

Chi abdica rinuncia effettivamente a un potere conferito e legitimmizzato da una dichiarazione solenne, da un atto di investitura spesso accompagnato, almeno in antichità, da un rito dal sapore sacro: l'unzione dell'eletto. La sovranità infatti un tempo era considerata manifestazione terrena della volontà divina.

Ma io non sono un re e nemmeno una regina, perché dovrebbe interessarmi questo verbo?
Perché ultimamente ho raggiunto la consapevolezza di aver abdicato la mia sacralità per seguire altro nella vita. La mia sacralità, certo, e con questo non voglio scomodare nessuna religione. Per me, ogni essere umano è unico e irripetibile, da qui la sua sacralità.

Il termine "sacro" deriva infatti dal radicale indoeuropeo *sak che sta a indicare qualcosa avvinto, attaccato alla divinità, ma anche con il significato di recinto, separazione. Il sacro è quindi un concetto fondante, puro, non contaminato, luogo dell’assoluto e del divino, separato dal resto, schierato come “unico” al di qua del recinto.

E all'atto della procreazione non accade forse che un unico nuovo, separato da tutto il resto, si formi? Ma se ancora avete dei dubbi, prendete un bambino, nel suo primo vagito, nella sua totale inerme fragilità, e guardatelo, se ci riuscite. Lo sguardo di un bambino può mettere davvero a disagio un adulto, e il perché mi è chiaro. Il suo sguardo non è quello di uno schiavo, né di un essere umano alle dipendenze di un altro essere umano. Un bimbo ha lo stesso sguardo delle bestie selvatiche: nobile, libero, placidamente consapevole di essere sovrano di se stesso. Quelli di un bimbo sono occhi di un essere potente, non di un essere inerme.
Quel bambino lotterà, fin da subito, per far valere i suoi diritti e soddisfare i suoi bisogni in un mondo di schiavi e dipendenti. Saprà gridare fino a perdere il fiato per non farsi usurpare ciò che sa essere un suo diritto inalienabile: ascoltare se stesso, seguire se stesso, essere un tutto unico con se stesso.

Ma poi, a volte, nella vita, si finisce con abdicare a se stessi per una semplice quanto potente ragione: la paura. La paura è un mostro dalle mille facce, sa nascondersi dietro la maschera degli affetti familiari, delle regole sociali, della morale, dell'amicizia, dell'amore, del rispetto, della tolleranza e delle più alte virtù. Tuttavia, per quanto potente, essa è in realtà inerme. Può solo occultare, non distruggere. Non ha il potere di abbattere il nostro recinto sacro, ha solo il potere di offuscarne la vista. Non può farne tacere il battito, può solo aumentare il rumore per renderne difficile l'ascolto.
Abdicando ci allontaniamo da, ma non annulliamo, la nostra unicità. Possiamo smettere ci crederci, ma essa è lì, nel recinto sacro, divina e sovrana.
Possiamo abdicare nella vita, è sancito nella nostra libertà, ma non possiamo strapparci di dosso la nostra sovranità.
Possiamo allontanarci di molto dal sentiero, ma basta un attimo di consapevolezza per rischiarare le tenebre e ritrovarci esattamente là dove sempre siamo stati: in quel luogo puro e  non contaminato che sappiamo esistere in noi, al di là degli spazi e dei pesi dell'umana anatomia.
Non conosco la misura del sacro, né quella della sovranità, ma ho motivo di credere che si aggiri tra le altezze dei giganti e il peso del vento.