lunedì 22 luglio 2013

buchi

I buchi sono un vuoto dentro qualcosa.
C'è il buco di formaggio,
il buco di serratura,
il buco di sole in una nuvola scura.

C'è il buco di ciambella,
il buco di terra,
il buco di calzino,
il buco di cielo quando cade una stella.

Ci sono buchi di topo
e buchi di marmotta,
son buchi per proteggersi
e si chiaman tana.

Ci son buchi nel ghiaccio
e buchi nell'acqua,
buchi sugli alberi
e buchi sulla carta.

Ci sono buchi per scappare,
buchi per guardare,
buchi da aprire,
buchi da riempire.

Di crema o cioccolata,
di sabbia o terra bagnata,
di lacrime talvolta,
se qualcuno amato più non c'è.

Ci sono buchi di parole,
quelle non dette perché manca coraggio.
Ci son buchi nelle azioni,
quando si dice no ai desideri del cuore.

Ci sono buchi di buio:
una ferita, una guerra,
fanno buchi neri dentro l'anima bella.

Ci sono anche buchi di luce
dai quali gli angeli scendono in terra.
Si posano sui bimbi che fan la nanna
fuori o dentro la pancia di una mamma.

Che sia un abbraccio o un girotondo,
il buco più bello è fatto di mani che si incontrano.
È un buco pieno zeppo di ciò abbiamo dentro:
profuma di pane, di domenica mattina,
di vento fresco, neve cristallina,
fa il rumore dei salti e delle capriole,
corre alla velocità delle lacrime di gioia,
e vola per sempre e sempre ancora.

sabato 20 luglio 2013

briciole

Ognuno di noi ha dei piccoli piaceri più o meno segreti. Conosco persone che amano mangiare l'anguria con il pane biscottato o con i grissini, altri che non sanno resistere a un sacchetto di liquirizie o caramelle gommose, chi fa colazione con caffelatte e panino al prosciutto, insomma ognuno di noi ha un piccolo piacere nel quale si coccola per qualche istante, piccole dosi di felicità da scartare all'occorrenza, piaceri che hanno il sapore dell'infanzia per la loro sbaragliante semplicità. Amo tutto questo, amo questo lato bambino negli esseri adulti. Amo vedere il manager che mangia una caramella gelè dopo l'altra, o il medico che si compra le rotelle di liquirizia, o ancora il professionista che ha la scorta personale di cioccolatini. Trovo  tutto ciò meravigliosamente, imperfettamente umano. In genere mi innamoro perdutamente di questo lato in chiunque incontri. E' semplicemente dorabile.
Un mio amico ha una scatola in cui versa di volta in volta i biscotti che compra: frollini al cioccolato, biscotti secchi, ai cereali, con granella di zucchero, ci finisce un po' di tutto. Mi capita una volta ogni tanto di farci colazione, con quella scatola, e quello che amo è il mix di briciole che nell'arco di qualche mese si forma sul fondo della scatola.
Amo affondarci il cucchiaio, fare un po' di archeologia provando a indovinare l'appartenenza dei "reperti" (pezzo di gocciola, pezzo di bucaneve, pezzetto di granturchese...) e poi lasciare che le briciole si sciolgano in bocca. Da sempre le briciole mi danno un sottile piacere, come le croste delle pizze, i bordi delle torte salate, e tutto ciò che sta un po' alla periferia della pietanza. Stranezze che ognuno di noi coltiva con una naturalezza impressionante senza volerne conoscere la ragione (di certo non andremo dallo psicologo per la sindrome da caramella gommosa. Almeno lo spero).
Ma quello che mi incanta della scatola del mio amico è la varietà e la ricchezza del fondo di briciole. Ha un significato tutto speciale. E' come se mi dicesse che la vita, per avere sapore, deve potersi arricchire di tante esperienze, occorre lasciare che le cose si mischino, le buone e le cattive, le belle e le brutte, non tenere  sempre tutto separato. Prendiamo le gocciole ad esempio: non mi piacciono di per sé, son troppo stucchevoli. Ne mangio una e ce la faccio, ma alla seconda comincio già ad avere la nausea. O i biscotti secchi: già dal nome sembra deprimente, no? Non vorresti mai biscotti secchi per tutta la vita, sarebbe una tristezza. Eppure metti tutto insieme, lasci che il tempo spezzi, mescoli, amalgami, e poi scopri che una cucchiaiata di quelle briciole è deliziosa.
Che la vita non sia una scatola di cioccolatini, ma una scatola di biscotti sbriciolati?

venerdì 19 luglio 2013

rialzarsi

Cadere è facile, capita, sopratutto quando si sta imparando.
Ho presente le cadute in bici, ricordo ancora le ginocchia spesso escoriate, ricordo gli ematomi quando ho imparato a pattinare, e poi sciare, arrampicare, tutto quello che ho appreso è stato accompagnato da magnifiche, dolorose cadute. E mi sono rialzata, e ho imparato. Ma allora com'è, cos'è che mi impedisce di rialzarmi altrettanto facilmente da un insuccesso, un errore, un fallimento, una delusione? E' perché le cose sono più complicate? E' perché sono coinvolte altre persone? E' perché non me lo aspettavo?
Forse è solo perché faccio fatica ad accettarlo, e dimentico che sto sempre, sempre, in ogni istante, imparando. Dimentico che con le altre persone c'è molto da imparare, che le relazioni non sono mai scontate, certe, banali. Dimentico che non dipende tutto da me, non è come andare in bici. Non te la prendi con l'asfalto o con il sasso, se cadi. Accetti e correggi il tiro se possibile. Ma con le persone, eh, con la mia stessa razza non è altrettanto semplice e lineare.
Amerò, ne son certa, un giorno questa mia razza umana a cui appartengo, sentirò quel legame di appartenenza che provano le altre specie viventi, e ne sarò grata e felice. Per ora, mi rialzo, perché la vita è talmente bella che fermarsi a terra è solo perdere tempo, ma ancora ho la corazza addosso, ancora mi muovo stando all'erta, vigile nei confronti dei miei simili.
Un lupo non può vivere senza il proprio branco, e anche i lupi solitari non possono vivere se hanno un branco contro.
Allora mi rialzo, perché ho bisogno di voi, cara gente, cara umanità, ho bisogno di voi là fuori. Ma per favore, venitemi incontro, non contro.

giovedì 18 luglio 2013

una storia-tante storie

E' quasi un dato banale, scontato, ovvio. Accade qualcosa a qualcuno, e subito nasce la notizia. Può essere ripetuta con il semplice passaparola della gente, o può finire sulle pagine dei media, può essere un fatto quotidiano, un accadimento fuori dal comune, può essere tante cose, sta di fatto che alla fine ci saranno tante storie, tante versioni dello stesso, unico fatto. La chiamano costruizione della realtà, come a dire che la realtà oggettiva non esiste, dipende dai punti di vista. E così che accade tra i testimoni di una stessa vicenda, ma anche in base al nostro umore, ai nostri pensieri, e così via. La realtà è qualcosa che accade, ma noi poi ne prendiamo solo dei frammenti, e cuciamo e ricuciamo, e voilà, un abito diverso cucito addosso per ciascuno.
A me piacerebbe solo essere brava a raccontarmi storie diverse, visioni diverse di certi momenti della mia vita che mi inchiodano a terra. Si chiama saper superare un trauma. Beh, siceramente, non so come fare. Non è impossibile superare violenza subita, non è impossibile superare tradimento e inganno, non è impossibile smettere di sentirsi colpevoli per non aver saputo reagire, non aver saputo difendersi, non aver saputo evitare e prevedere. Ma la mia mente, quella meravigliosa, selvaggia e instabile creatura che è dentro di me dice no, basta, non ce la faccio. Diciamolo francamente, sono arrabbiata, e  rabbia e paura fanno spesso coppia fissa.
Se dici non ce la faccio davanti a un passaggio in arrampicata, se non sei convinto di poterlo superare, beh, non lo supererai. Non puoi dirti ci provo, non puoi alleggerire quel peso con un ragionevole dubbio, devi essere assolutamente convinto. Solo così funzionerà. Puoi trovare degli stratagemmi alternativi, certo, puoi provare ad azzerare il passaggio, trovando altri appigli, escogitando un'uscita diversa, ma così sai di non aver superato il passaggio chiave, e quel "non ci riesco, è troppo difficile" resterà dentro di te. Puoi tornare altre mille volte su quella via e su quel passaggio, ma se non hai cambiato quel "non ce la faccio" in altro, continuerai a credere che la parete ti stia battendo, ancora e ancora. Puoi allenarti, certo, e questo significa duro lavoro, se cominci tardi, infatti, il corpo impiegherà più tempo a raggiungere un certo livello di prestazione, e lo perderà più in fretta nel momento in cui l'allenamento verrà meno. L'arrampicata è un terribile specchio di come siamo dentro, fisicamente e psicologicamente.
Io sono qui, a cercare di andare avanti azzerando passaggi che non credo di poter superare, perdendomi così il bello di questa vita perché tutto diventa fatica (l'arrampicata è bella ad ogni passaggio, ciò che ami ti diverte). La vita, mi dico, non dovrebbe essere solo fatica, ma io sono davvero spaventata dal male che gli uomini sanno compiere mentre ti guardano con un sorriso, di dicono di volerti bene, ti abbracciano pure.
Una storia, tante storie. Non posso cambiare la mia, posso raccontarmela in modo diverso.
Ma oggi, oggi è dura. Sì, oggi è dura.


mercoledì 10 luglio 2013

le rituel des chats

In una piacevola giornata estiva,  passeggio tra le viuzze colorate di Gourdon, paesino abbarbicato su una collina che da un lato cade a picco nel vuoto, offrendo così una vista a 360° sul panorama circostante, fatto di verdi rilievi che finiscono poi col tuffarsi in mare. E' la Provenza.
Le case di Goudon sono in pietra, una addossata all'altra, una sull'altra, già solo l'architettura di questi edifici è uno spettacolo che dura da millenni; i vicoli offrono allo sguardo mille particolari: fiori sui balconi dipinti di lavanda, insegne in ferro battuto, piastrelle di maiolica dipinte a mano, e poi grovigli di bounganville e rosmarino, camomilla e violette, il tutto in una traquillità magistrale. Persino i turisti sussurrano, non un trillo di cellulare si azzarda a turbare la placida serenità del luogo, e come spesso accade, la lingua ha il suono dei luoghi in cui viene parlata. Qui il francese ha il suono delle cicale, è un cri cri frusciante che invita alla spensieratezza.
Le vetrine dei negozietti sono un capolavoro di colori e profumi, maioliche, lavanda, saponi, tovaglie e tessuti, vini e formaggi locali, lavorazioni artigianali, tutto il succo di questa regione viene messo in mostra con minuzia di particolari.
In un angolo della piazzetta che dà sul belvedere, scorgo la porticina aperta di una cappella, da cui proviene della musica.
Un po' per curiosità, un po' per desiderio di abbandonarmi per un poco alla penombra, entro. Le pareti interne sono in pietra nuda, così come deve essere spoglia di credenti da molto tempo questa piccola cappella. Dalle strette vetrate colorate la luce entra come una folata di vento che smorza l'immobilità dei secoli chiusi tra queste mura, sull'altare manca un fiore fresco, la musica deve provenire da qualche altoparlante posto sul retro.
Sto per tornare alla luce, quando mi accorgo che sull'altare un morbido gattone grigio sta dormendo, mentre sul primo banco si sta compiendo un rituale insolito: un altro gatto, tigrato, sta dando la caccia a un topolino che squittisce. In francese, ovviamente.




P.S. La sera stessa, mentre cenavo in un ristorantino nei pressi della cappellina, è entrato dalla finestra lo stesso gatto grigio. Dopo un giro attorno al mio tavolo per prendersi due coccole, se n'è andato... Mi avrà riconosciuta?