Il giorno in cui non sono morta splendeva il sole.
La neve sulla cima delle montagne imbiancava l'autunno che bruciava vivo tutto attorno.
La parete di roccia era salda, a tratti levigata dall'usura del tempo e dell'uomo.
Una danza tra me e il vuoto che aumenta sotto i miei piedi.
Manovre ripetute milioni di volte, imparate a memoria dalle dita della mano.
Eppure qualcosa è andato storto, qualcosa forse mi ha distratto, qualcosa forse ho dato per scontato. Forse il mio pensiero era altrove, proprio quando assicuravo il mio corpo e la mia vita a un nodo.
Un passaggio esposto e la corda scivola via, richiamata dalla forza di gravità verso terra. Mi ritrovo improvvisamente sola con la roccia. Nude le mie mani e nuda lei. La terra è troppo distante per garantirmi l'incolumità.
Ma ecco, stranamente, non ha accelerato il respiro.
Non ha sudato la fronte.
Non hanno ceduto gli avambracci.
Con calma, quasi senza fretta a ripensarci, ho appeso la mia vita a un chiodo davanti alla mia fronte. Una manciata di centimetri di metallo a sostenere quarant'anni di vita ficcati dentro un solo cuore.
Riesco a scendere e a ricomincio tutto di nuovo, fino in cima, fino in fondo.
Il giorno in cui non sono morta la verità mi è entrata dentro come un
taglio in un secondo e non posso dimenticare cosa ho visto nei suoi occhi.
Ho avuto l'aumentata consapevolezza che avrei dovuto attendere millenni prima di rivedere chi amo, perché l'eternità esiste e ne ho visto la porta.
Il giorno in cui non sono morta ho capito che esiste solo il presente e che la decisione è tutto.
Il giorno in cui non sono morta era domenica, giorno del Signore.
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