domenica 13 aprile 2014

jiiwaa

Nepal e Tibet sono due terre vicine solcate dalla catena dell'Himalaya.
L'immenso arco montuoso dell'Himalaya è un'area di circa 2.500 chilometri di lunghezza per 200 chilometri di larghezza occupata da altissime montagne, le più alte che ci siano. Sono terre dove per viverci ci vuole un DNA forgiato in alta quota. Povertà, fatica, resistenza e accettazione del presente fanno il resto.
Tuttavia, nonostante l'asprezza di quei luoghi, nepalese e tibetano sono due lingue dolci, come lo è il sorriso di quella gente. L'Everest, la montagna più alta del mondo, è chiamata Sagarmatha in nepalese e Chomolungma in tibetano.
Gli sherpa sono diventati famosi proprio con la "conquista" dell'Everest, quando nel 1953 uno sherpa e un alpinista neozelandese raggiungono insieme per la prima volta la vetta della montagna più alta del mondo. A giudicare dai racconti e dal numero di decessi che ogni anno purtroppo avvengono, c'è da ritenere che affrontare una vetta himalayana sia quanto di più pericoloso l'uomo possa affrontare sui propri passi. E se ci vuole una buona dose di preparazione tecnica, audacia e mentre fredda, nulla può azzerare completamente la paura che si prova davanti a quei granitici massicci che non hanno bisogno dell'uomo per esistere.
Eppure, in lingua sherpa la parola "paura" non esiste. Esiste jiiwaa, che indica al contempo paura e pericolo. Non si può domandare a uno sherpa "hai paura". Occorre chiedere, affinché sia in grado di comprendere la domanda, se c'è pericolo-paura in una determinata situazione.
Per gli sherpa la paura è associata al pericolo, si manifesta quando c'è pericolo, altrimenti essa semplicemente non può manifestarsi né, quindi, essere espressa.
Quindi, o c'è un reale pericolo, o non c'è motivo di provare paura.
Mi domando cosa potrebbe comprendere uno sherpa delle nostre innumerevoli paure per qualcosa che non c'è: paura di non piacere, paura di sbagliare, paura dell'ignoto, paura del domani...
Se guardo la società a cui appartengo per legame di nascita, provo il ragionevole dubbio che qualcosa deve essersi perso lungo la nostra linea "evolutiva".



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