sabato 8 settembre 2012

movimento

Oggi pubblico questa storia per bambini (ma non solo), nata dopo aver fatto un trekking sulla Schiara e scritta pensando a mio nipote Giovanni, la cui energia e desiderio di vivere sono iscritti nel suo movimento, nel suo non conoscere pause. Gio non si volta indietro, non si ferma mai, se non in due occasioni: quando si arrabbia e quando ha paura, ovvero quando non accetta il passato o teme il futuro. Ma superato quel breve istante di indecisione, torna a tuffarsi a capofitto nello scorrere dell'esistenza, nel presente, vivendola a piene mani e pieno cuore. L'illustrazione è di Americo Gobbo, un artista italo-brasiliano con cui ho il piacere di collaborare ogni tanto.



I sassi, si sa, stanno fermi.
A meno che non ci sia qualcosa o qualcuno che li muova, loro non si spostano mai.
Se ne stanno immobili là dove sono per tutto il tempo della loro vita.
E vivono a lungo, molto a lungo.
Sono capaci di esistere per centinaia e centinaia e centinaia di anni.
Sempre fermi. Guai a spostarsi.
Non si fa, non è nelle regole della vita dei sassi.

Ma Klippie era diverso.
Era un sassolino speciale.
Lui DESIDERAVA muoversi…

Klippie viveva alle pendici di una montagna,
insieme ai suoi genitori, ai fratelli, alle zie e zii,
nonni e bisnonni, cugini di terzo e quarto grado…
Una famiglia numerosa, tutta ammassata ai piedi della montagna,
da cui erano scesi tanti, tantissimi anni prima.
Un fulmine aveva colpito proprio la cima e fatto ruzzolare a terra
una gran quantità di massi e rocce: tutta la famiglia di Klippie.

Da lì non si erano mai più mossi.
E per fortuna, perché i sassi, una volta che li sposti,
vuoi per caso, vuoi per intenzione,
difficilmente tornano dov’erano,
per cui c’è il rischio che un sasso che ruzzola
non riesca mai più a rivedere la sua famiglia.

La famiglia di Klippie era molto unita.
Vivevano tutti insieme, immobili e fermi,
da più di settecento anni.
Sopra di loro, c’era la montagna,
rossa al tramonto e scura di notte,
e il cielo, a volte nuvoloso, a volte pieno d luce.
Sotto di loro, prati e arbusti e in fondo
in fondo, giù nella valle, un torrente.
Questo era tutto quello che potevano vedere dalla loro posizione.
Ed era così ogni giorno, da più di settecento anni.
Conducevano una vita tranquilla, senza scosse o ruzzoloni.


Klippie era il più piccolo della famiglia.
Era caduto per ultimo, rimbalzando a occhi chiusi
tra rocce e guglie giù dritto fino al prato.
Si era fermato proprio a fianco di papà,
trattenuto da un ciuffo d’erba.
Era un sassolino ben levigato,
grande più o meno come una noce,
di un bel colore rossastro.

Proprio il ciuffo d'erba che gli stava davanti, però,
gli impediva di vedere il torrente.
Quello cresceva ad ogni primavera, mentre lui
sarebbe rimasto grande come una noce per sempre.
Una vera sfortuna.
Così ogni mattina si faceva raccontare
dal suo papà com'era laggiù, nella valle,
e intanto sognava di poterci andare,
un giorno, a vedere com'era il torrente.
Faceva tante domande:
“E' freddo il torrente papà?” e “Cosa c'è dentro?”,
ma sopratutto chiedeva, “Come fa a muoversi, il torrente?”.
Ma né suo padre né tutti gli zii e parenti sapevano rispondergli.
Nessuno infatti c'era mai stato.
E se anche ci fosse stato, non sarebbe potuto tornare a raccontarlo.

Tutta la famiglia di Klippie glielo ripeteva:
“I sassi quando cadono, cadono per sempre: non salgono mai”.
Ma a Klippie non importava: lui era nato per rotolare, cadere, ruzzolare,
capitombolare e chissà cos'altro ancora. E con un po' di fortuna,
un giorno sarebbe anche tornato a casa. Ne era certo.
Nessuno però lo prendeva sul serio.
Anzi, lo rimproveravano per questo suo desiderio
di volersene andare in giro per il mondo.
“Sei così piccolo”, gli ripeteva sempre sua madre, che era grossa quanto una poltrona.
“Finiresti per rotolare all'infinito”, lo intimoriva la nonna, grande quanto un portaombrelli.

Ma a Klippie non importava.
Lui voleva veramente muoversi.
Desiderio alquanto curioso per un sassolino.
Ma Klippie era così. Piccolo e deciso.

Una mattina, come spesso capitava,
Klippie si svegliò prima degli altri.
Si guardò la testa: era bagnata di minuscole gocce d'acqua.
Sul prato si era depositata la rugiada della sera.
Presto però il sole avrebbe scaldato l'aria
e le goccioline di rugiada se ne sarebbero andate.
“Chissà dove andranno”, pensò Klippie.
“Sono più piccole di me, eppure vanno dove vogliono.
Come vorrei muovermi anch'io come loro...”.
Lo pensò ridendo, perché una gocciolina gli stava facendo il solletico.
Sarà stato per quello, sarà stato per il colpo d'ali di un'aquila che scese a volo radente proprio in quell'istante, sta di fatto che Klippie cominciò a rotolare... giù.
“Sto sognando!”, pensò Klippie eccitato.
Ma no, era tutto vero.
Stava rotolando giù veramente,
sempre più giù...
Pling, plang, tututurù, ratatumpete tumpete, taparatatà,
ton, ton, tan, tutumpumpà...
Un vero capitombolo, dopo tanti anni fermo lassù nel prato.
Il suo desiderio di stava avverando!
Klippie era talmente felice che non si accorse che...
Splash... troppo tardi! Era finito nel torrente.

“E' freddo!”, gridò, felice di scoprire finalmente come era fatto il torrente.
“E rotola, proprio come me!”, continuò, tra un balzo e un capitombolo.
Trasportato dalla corrente, Klippie non faceva altro che ruzzolare
di qua e di là, facendo mille capriole.
Si stava divertendo moltissimo.

Lassù sul prato, invece, c'era grande agitazione.
Beh, si fa per dire, i sassi non si muovono, figuriamoci agitarsi.
Diciamo che si preoccuparono stando fermi.
Dopo che il sole aveva fatto svanire le ultime gocce di rugiada,
papà Sasso si era svegliato con un gran sbadiglio.
Aveva sognato che un'aquila dalle gradi ali
era volata proprio sopra le loro teste e poi... non si ricordava più il sogno.
Guardò verso suo figlio Klippie per dargli il buon giorno e, Klippie non c'era più!
Cosa era successo? Forse qualcuno o qualcosa lo aveva spinto? Ma dove?
“Forse si è mosso solo di poco, è così piccolo,
un colpo di vento potrebbe benissimo averlo mosso di qualche metro,”
disse preoccupata mamma Pietra.
Ma nessuno riuscì a vederlo nei dintorni.
Si misero allora a chiamarlo a gran voce, ma niente.
“Forse si è addormentato,” dissero i nonni, che erano un po' sordi.
“Forse è caduto,” ammise infine papà Sasso.
Proprio in quel momento un'ombra coprì le loro teste.
Una grande aquila stava volando sopra di loro.
“Non preoccupatevi”, disse.
“Il piccolo se la caverà benissimo.
E non temete. Prima o poi forse tornerà”.
Mamma Pietra e papà Sasso si guardarono.
Non c'era nulla da fare, ormai Klippie era andato.
“Sono cose che capitano,” disse il papà rassegnato.
“Glielo avevo detto di stare attento”, fece eco la mamma.
“Era quello che voleva, in fondo,” disse con un sospiro papà Sasso.
E tornarono alla loro vita di sempre,
fermi e immobili ai piedi della montagna.

Intanto Klippie nuotava a testa in giù, trascinato dalla corrente.
Nell'acqua trasparente poteva vedere i pesci guizzare veloci.
Ogni tanto ne urtava qualcuno, e allora diceva “Mi scusi!”,
ma non faceva in tempo a dirlo che già faceva
un'altra capriola preso da un vortice d'acqua.
“Sei in viaggio da tanto?” chiese ad un certo punto Klippie al torrente.
“Oh, da quando sono nato”, rispose il torrente.
“Vuoi dire che non ti sei mai fermato?” chiese meravigliato Klippie.
“Fermarsi? Non so cosa sia, amico”, disse il torrente.

Klippie era davvero sorpreso: si poteva vivere senza fermarsi mai?
Per lui che era stato fermo ai piedi della montagna da quando era nato,
quella era una notizia straordinaria.
A dire il vero lui si sentiva un po' stanco di tutte quelle capriole in acqua.
Avrebbe gradito una sosta, per riposarsi un po',
non era abituato a muoversi così tanto.
Sarà stato per tale desiderio,
sarà stato che proprio in quel punto il torrente faceva un brusco salto
sta di fatto che Klippie finì sbalzato fuori dall'acqua e cadde su un sentiero
che passava lì accanto.

“Per fortuna mi son fermato a testa in su”, pensò il sassolino.
“O non avrei saputo come fare per raddrizzarmi”.
Si guardò intorno: il sentiero saliva da una parte e scendeva dall'altra.
“Curioso”, disse Klippie.
“Come può un sentiero fare due movimenti allo stesso tempo:
salire e scendere? Scendere ora son capace anch'io. Ma chissà com'è salire...”.
Restò lì per un buon pezzetto di giornata, senza che passasse nessuno.
Ogni tanto qualche lombrico attraversava il sentiero, ma non sembrava molto
interessato a quel sassolino rossiccio appena arrivato.
Passò anche qualche animale più grosso,
forse una cerva, Klippie non ne era sicuro,
ma anche questa non sembrò per nulla interessata a lui,
intenta com'era a cercare cibo.
Klippie cominciò a domandarsi come sarebbe proseguito il suo viaggio.
Pensò a tutto quello che avrebbe raccontato alla sua famiglia quando fosse tornato.
Non sembrava per nulla preoccupato di come questo sarebbe potuto accadere.

Sul sentiero passò a un certo punto un pastore.
Era poco più che un ragazzo, con una bisaccia,
un cane e appena tre pecore.
Passeggiava sul sentiero fischiettando,
contento di essere lì, con il suo cane e il suo piccolo gregge.
Lasciò che le pecore brucassero un po' d'erba
e si sedette ai bordi del sentiero su un comodo masso.
Gli era talmente vicino, che Klippie temette di essere calpestato.
Il pastore prese dalla bisaccia un pezzo di pane e di formaggio,
né mangiò e ne diede anche al suo cane.
Klippie pensò tra sé:
“Come puzzano questi due, dovrebbero proprio farsi un bel bagno!”
Invece il pastore si sdraiò sull'erba, chiuse gli occhi e così fece il suo cane.

Visto che tutti dormivano, pastore, pecore e cane,
anche Klippie decise di schiacciare un sonnellino.
Dormì come un sasso. O come un bimbo. Fa lo stesso.
Più o meno bimbi e sassi dormono uguale: tranquilli e beati.
Ma quando si svegliò, si stupì molto di ritrovarsi al buio.
All'inizio pensò di aver dormito fino a notte fonda,
ma poi si rese conto di essere dentro qualcosa che si muoveva.
“E che cos'è questa puzza di formaggio?”, domandò tra sé.
Allora capì di essere finito nella bisaccia del pastore.
Chissà perché quel ragazzo lo aveva preso con sé...

Fu solo al tramonto che Klippie poté finalmente uscire.
C'era il cane, c'erano le pecore, c'erano pure le stelle in cielo.
Klippie vide che il cane abbaiava verso alcuni alberi,
e le pecore si erano riparate dietro al ragazzo.
Belavano spaventate.
Klippie si stava chiedendo che cosa stesse succedendo,
quando sentì l'ululato di un lupo affamato.
Fu allora che il pastore trasse dalla sua tasca una fionda e Klippie dalla mano.
Prese la mira e... Klippie cominciò a volare come un missile!

Sssssss...bong! Klippie finì dritto contro il naso del lupo.
“Ahi!”, gridò. “Che botta! Non pensavo che i lupi avessero la testa così dura!”.
E svenne, un po' per il mal di testa che gli era venuto,
un po' per l'eccitazione del suo primo lancio.
Il lupo, invece, fuggì di corsa nel bosco, guaendo.
Di sicuro per quella sera non sarebbe più tornato.

Quando Klippie si svegliò, era notte fonda.
Si guardò attorno: del lupo, del pastore e dei suoi animali non c'era più traccia.
Sopra di lui c'erano solo rami d'albero e attorno a lui foglie, radici e ghiande.
Guardò in alto.
Tra i rami dell’albero poteva vedere un pezzettino di cielo.
Era un pezzetto piccolo, ma bello.
Ad un tratto, una paio di stelle cadenti scivolarono luminose nel buio.
Klippie le vide e gridò:
“Oh, le stelle cadenti! Che lungo viaggio stanno facendo da lassù!
Come mi piacerebbe raggiungere il cielo! Ma come farò a muovermi da qui?
Sono lontano dal sentiero, e lontano dal fiume,
lontano dalla mia montagna e lontano dalle stelle.
Non c'è fulmine che possa farmi cadere,
o acqua che mi possa far rotolare,
o uomo che mi possa raccogliere e portare con sé”.

Il viaggio di Klippie era dunque durato solo un giorno?
Non poco, certo, per un sassolino che non aveva mai viaggiato.
Ma il suo desiderio era davvero grande: toccare il cielo!
Ci vuole molto tempo per realizzare sogni così.
Per cui Klippie, in mezzo alle foglie e alla radici, restò fermo per tanti anni.
A raccontarli sarebbe noioso, perché che si può dire di un sassolino
che resta immobile, giorno dopo giorno, per anni e anni?
Vien sonno solo a pensarci. Eppure, qualcosa di importante accadde.

Oh, non nel bosco, non sulla montagna,
non nel torrente e nemmeno sul sentiero.
Le cose più importanti non accadono mai fuori, ma dentro.
E infatti, Klippie riuscì a fare qualcosa di molto difficile.
Dentro di sé mantenne vivo il suo desiderio,
come una piccola stella sempre accesa.
E non si arrabbiò quando arrivò la grandine che gli ammaccò la testa,
e non si arrabbiò quando il vento spazzò via le foglie e lui no,
e non si arrabbiò quando gli animali vennero a mangiare le ghiande e lo lasciarono lì.
Fu paziente e tenne il suo desiderio sempre acceso.
Prima o poi avrebbe ripreso il suo viaggio.

E infatti accadde che un giorno passò di lì un signore.
Aveva sulle spalle un grosso zaino pesante
e ai piedi un paio di scarpe grosse.
Klippie se le vide arrivare addosso.
Una lo calpestò e lui rimase incastrato nella suola.
Possibile? Oh sì.
Klippie non lo sapeva, ma in tutti quegli anni,
consumato dal vento e dal tempo, si era fatto piccolo piccolo,
poco più grande di un chicco di caffè.
C’è chi col tempo diventa grande e chi si fa piccino.

Le scarpe grosse camminarono a lungo,
e Klippie ad ogni passo, toccava terra e poi si rialzava.
Tutto quel che riusciva a vedere era erba e terriccio,
polvere e lombrichi.
Ogni volta che le scarpe grosse toccavano terra,
Klippie chiudeva gli occhi,
e ogni volta che le scarpe si alzavano,
lui li riapriva.
Era un camminare faticoso,
a luce spenta e luce accesa ad ogni passo.
Per niente facile.
Ma sentiva l’uomo fischiettare.
Ne fu contento, per le scarpe.
Stavano con un uomo allegro.
E anche gentile.
Le scarpe infatti non calpestavano mai i fiori o i piccoli animali.
Questo gli piacque molto.

Camminarono tutto il giorno.
L’uomo cantava.
Aveva una bella voce.
Le scarpe andavano leggere sull’erba e sulla roccia.
Klippie si addormentò pure un pochino,
così non si accorse quando arrivarono.

Proprio in cima alla montagna,
davanti a una grande roccia che sembrava
un enorme dito puntato verso il cielo ad indicare le stelle,
c’era una piccola casetta, fatta di una stanza soltanto.

L’uomo si tolse lo zaino pesante dalle spalle prima di entrare.
Chissà cosa ci teneva dentro. Forse i suoi vestiti, forse un po’ di cibo,
forse un libro e una coperta per dormire al caldo.
L’uomo si sedette su una panca fuori dalla casetta,
si tolse le scarpe e cominciò a pulirle dal terriccio.
Klippie pensò che ben presto sarebbe caduto a terra
e invece l’uomo fece una cosa assai curiosa:
prese Klippie tra le dita e lo osservò a lungo.

“Strano”, disse a voce alta l’uomo, come se volesse parlare al sassolino.
“Sei tutto rosso e qui attorno le pietre son tutte grigie.
Da dove arrivi, tu, piccolo sassolino?”
E si guardò in alto, verso il cielo che cominciava a riempirsi di stelle.
Poi, come se conoscesse il desiderio di Klippie,
lo appoggiò sopra la panca e disse:
“Domani salirò lassù in cima, sopra il Grande Dito,
e tu, piccolo amico, verrai con me a toccare il cielo.”

E fu così, davvero.
Perché l’uomo era gentile
e un sassolino piccolo non pesa poi tanto nello zaino, ma fa compagnia.
E Klippie toccò veramente il cielo, come aveva desiderato.

Non sappiamo cosa fece dopo il signore gentile,
né dove andò Klippie.
C’è chi racconta di averlo visto tra i pinguini e le balene,
chi invece giura di averlo incontrato sugli scogli di un’isola lontana.
Ma state attenti bambini, e ogni tanto guardate sotto le scarpe o dentro i calzini…
potrebbe esserci nascosto un sassolino vagabondo.
Siate gentili, portatelo per un poco con voi.

Nessun commento:

Posta un commento