I sassi, si sa,
stanno fermi.
A meno che non ci
sia qualcosa o qualcuno che li muova, loro non si spostano mai.
Se ne stanno
immobili là dove sono per tutto il tempo della loro vita.
E vivono a lungo,
molto a lungo.
Sono capaci di
esistere per centinaia e centinaia e centinaia di anni.
Sempre fermi. Guai a
spostarsi.
Non si fa, non è
nelle regole della vita dei sassi.
Ma Klippie era
diverso.
Era un sassolino
speciale.
Lui DESIDERAVA
muoversi…
Klippie viveva alle
pendici di una montagna,
insieme ai suoi
genitori, ai fratelli, alle zie e zii,
nonni e bisnonni,
cugini di terzo e quarto grado…
Una famiglia
numerosa, tutta ammassata ai piedi della montagna,
da cui erano scesi
tanti, tantissimi anni prima.
Un fulmine aveva
colpito proprio la cima e fatto ruzzolare a terra
una gran quantità
di massi e rocce: tutta la famiglia di Klippie.
Da lì non si erano
mai più mossi.
E per fortuna,
perché i sassi, una volta che li sposti,
vuoi per caso, vuoi
per intenzione,
difficilmente
tornano dov’erano,
per cui c’è il
rischio che un sasso che ruzzola
non riesca mai più
a rivedere la sua famiglia.
La famiglia di
Klippie era molto unita.
Vivevano tutti
insieme, immobili e fermi,
da più di
settecento anni.
Sopra di loro, c’era
la montagna,
rossa al tramonto e
scura di notte,
e il cielo, a volte
nuvoloso, a volte pieno d luce.
Sotto di loro, prati
e arbusti e in fondo
in fondo, giù nella
valle, un torrente.
Questo era tutto
quello che potevano vedere dalla loro posizione.
Ed era così ogni
giorno, da più di settecento anni.
Conducevano una vita
tranquilla, senza scosse o ruzzoloni.
Klippie era il più
piccolo della famiglia.
Era caduto per
ultimo, rimbalzando a occhi chiusi
tra rocce e guglie
giù dritto fino al prato.
Si era fermato
proprio a fianco di papà,
trattenuto da un
ciuffo d’erba.
Era un sassolino ben
levigato,
grande più o meno
come una noce,
di un bel colore
rossastro.
Proprio il ciuffo
d'erba che gli stava davanti, però,
gli impediva di
vedere il torrente.
Quello cresceva ad
ogni primavera, mentre lui
sarebbe rimasto
grande come una noce per sempre.
Una vera sfortuna.
Così ogni mattina
si faceva raccontare
dal suo papà
com'era laggiù, nella valle,
e intanto sognava di
poterci andare,
un giorno, a vedere
com'era il torrente.
Faceva tante
domande:
“E' freddo il
torrente papà?” e “Cosa c'è dentro?”,
ma sopratutto
chiedeva, “Come fa a muoversi, il torrente?”.
Ma né suo padre né
tutti gli zii e parenti sapevano rispondergli.
Nessuno infatti
c'era mai stato.
E se anche ci fosse
stato, non sarebbe potuto tornare a raccontarlo.
Tutta la famiglia di
Klippie glielo ripeteva:
“I sassi quando
cadono, cadono per sempre: non salgono mai”.
Ma a Klippie non
importava: lui era nato per rotolare, cadere, ruzzolare,
capitombolare e
chissà cos'altro ancora. E con un po' di fortuna,
un giorno sarebbe
anche tornato a casa. Ne era certo.
Nessuno però lo
prendeva sul serio.
Anzi, lo
rimproveravano per questo suo desiderio
di volersene andare
in giro per il mondo.
“Sei così
piccolo”, gli ripeteva sempre sua madre, che era grossa quanto una
poltrona.
“Finiresti per
rotolare all'infinito”, lo intimoriva la nonna, grande quanto un
portaombrelli.
Ma a Klippie non
importava.
Lui voleva veramente
muoversi.
Desiderio alquanto
curioso per un sassolino.
Ma Klippie era così.
Piccolo e deciso.
Una mattina, come
spesso capitava,
Klippie si svegliò
prima degli altri.
Si guardò la testa:
era bagnata di minuscole gocce d'acqua.
Sul prato si era
depositata la rugiada della sera.
Presto però il sole
avrebbe scaldato l'aria
e le goccioline di
rugiada se ne sarebbero andate.
“Chissà dove
andranno”, pensò Klippie.
“Sono più piccole
di me, eppure vanno dove vogliono.
Come vorrei muovermi
anch'io come loro...”.
Lo pensò ridendo,
perché una gocciolina gli stava facendo il solletico.
Sarà stato per
quello, sarà stato per il colpo d'ali di un'aquila che scese a volo
radente proprio in quell'istante, sta di fatto che Klippie cominciò
a rotolare... giù.
“Sto sognando!”,
pensò Klippie eccitato.
Ma no, era tutto
vero.
Stava rotolando giù
veramente,
sempre più giù...
Pling, plang,
tututurù, ratatumpete tumpete, taparatatà,
ton, ton, tan,
tutumpumpà...
Un vero capitombolo,
dopo tanti anni fermo lassù nel prato.
Il suo desiderio di
stava avverando!
Klippie era talmente
felice che non si accorse che...
Splash... troppo
tardi! Era finito nel torrente.
“E' freddo!”,
gridò, felice di scoprire finalmente come era fatto il torrente.
“E rotola, proprio
come me!”, continuò, tra un balzo e un capitombolo.
Trasportato dalla
corrente, Klippie non faceva altro che ruzzolare
di qua e di là,
facendo mille capriole.
Si stava divertendo
moltissimo.
Lassù sul prato,
invece, c'era grande agitazione.
Beh, si fa per dire,
i sassi non si muovono, figuriamoci agitarsi.
Diciamo che si
preoccuparono stando fermi.
Dopo che il sole
aveva fatto svanire le ultime gocce di rugiada,
papà Sasso si era
svegliato con un gran sbadiglio.
Aveva sognato che
un'aquila dalle gradi ali
era volata proprio
sopra le loro teste e poi... non si ricordava più il sogno.
Guardò verso suo
figlio Klippie per dargli il buon giorno e, Klippie non c'era più!
Cosa era successo?
Forse qualcuno o qualcosa lo aveva spinto? Ma dove?
“Forse si è mosso
solo di poco, è così piccolo,
un colpo di vento
potrebbe benissimo averlo mosso di qualche metro,”
disse preoccupata
mamma Pietra.
Ma nessuno riuscì a
vederlo nei dintorni.
Si misero allora a
chiamarlo a gran voce, ma niente.
“Forse si è
addormentato,” dissero i nonni, che erano un po' sordi.
“Forse è caduto,”
ammise infine papà Sasso.
Proprio in quel
momento un'ombra coprì le loro teste.
Una grande aquila
stava volando sopra di loro.
“Non
preoccupatevi”, disse.
“Il piccolo se la
caverà benissimo.
E non temete. Prima
o poi forse tornerà”.
Mamma Pietra e papà
Sasso si guardarono.
Non c'era nulla da
fare, ormai Klippie era andato.
“Sono cose che
capitano,” disse il papà rassegnato.
“Glielo avevo
detto di stare attento”, fece eco la mamma.
“Era quello che
voleva, in fondo,” disse con un sospiro papà Sasso.
E tornarono alla
loro vita di sempre,
fermi e immobili ai
piedi della montagna.
Intanto Klippie
nuotava a testa in giù, trascinato dalla corrente.
Nell'acqua
trasparente poteva vedere i pesci guizzare veloci.
Ogni tanto ne urtava
qualcuno, e allora diceva “Mi scusi!”,
ma non faceva in
tempo a dirlo che già faceva
un'altra capriola
preso da un vortice d'acqua.
“Sei in viaggio da
tanto?” chiese ad un certo punto Klippie al torrente.
“Oh, da quando
sono nato”, rispose il torrente.
“Vuoi dire che non
ti sei mai fermato?” chiese meravigliato Klippie.
“Fermarsi? Non so
cosa sia, amico”, disse il torrente.
Klippie era davvero
sorpreso: si poteva vivere senza fermarsi mai?
Per lui che era
stato fermo ai piedi della montagna da quando era nato,
quella era una
notizia straordinaria.
A dire il vero lui
si sentiva un po' stanco di tutte quelle capriole in acqua.
Avrebbe gradito una
sosta, per riposarsi un po',
non era abituato a
muoversi così tanto.
Sarà stato per tale
desiderio,
sarà stato che
proprio in quel punto il torrente faceva un brusco salto
sta di fatto che
Klippie finì sbalzato fuori dall'acqua e cadde su un sentiero
che passava lì
accanto.
“Per fortuna mi
son fermato a testa in su”, pensò il sassolino.
“O non avrei
saputo come fare per raddrizzarmi”.
Si guardò intorno:
il sentiero saliva da una parte e scendeva dall'altra.
“Curioso”, disse
Klippie.
“Come può un
sentiero fare due movimenti allo stesso tempo:
salire e scendere?
Scendere ora son capace anch'io. Ma chissà com'è salire...”.
Restò lì per un
buon pezzetto di giornata, senza che passasse nessuno.
Ogni tanto qualche
lombrico attraversava il sentiero, ma non sembrava molto
interessato a quel
sassolino rossiccio appena arrivato.
Passò anche qualche
animale più grosso,
forse una cerva,
Klippie non ne era sicuro,
ma anche questa non
sembrò per nulla interessata a lui,
intenta com'era a
cercare cibo.
Klippie cominciò a
domandarsi come sarebbe proseguito il suo viaggio.
Pensò a tutto
quello che avrebbe raccontato alla sua famiglia quando fosse tornato.
Non sembrava per
nulla preoccupato di come questo sarebbe potuto accadere.
Sul sentiero passò
a un certo punto un pastore.
Era poco più che un
ragazzo, con una bisaccia,
un cane e appena tre
pecore.
Passeggiava sul
sentiero fischiettando,
contento di essere
lì, con il suo cane e il suo piccolo gregge.
Lasciò che le
pecore brucassero un po' d'erba
e si sedette ai
bordi del sentiero su un comodo masso.
Gli era talmente
vicino, che Klippie temette di essere calpestato.
Il pastore prese
dalla bisaccia un pezzo di pane e di formaggio,
né mangiò e ne
diede anche al suo cane.
Klippie pensò tra
sé:
“Come puzzano
questi due, dovrebbero proprio farsi un bel bagno!”
Invece il pastore si
sdraiò sull'erba, chiuse gli occhi e così fece il suo cane.
Visto che tutti
dormivano, pastore, pecore e cane,
anche Klippie decise
di schiacciare un sonnellino.
Dormì come un
sasso. O come un bimbo. Fa lo stesso.
Più o meno bimbi e
sassi dormono uguale: tranquilli e beati.
Ma quando si
svegliò, si stupì molto di ritrovarsi al buio.
All'inizio pensò di
aver dormito fino a notte fonda,
ma poi si rese conto
di essere dentro qualcosa che si muoveva.
“E che cos'è
questa puzza di formaggio?”, domandò tra sé.
Allora capì di
essere finito nella bisaccia del pastore.
Chissà perché quel
ragazzo lo aveva preso con sé...
Fu solo al tramonto
che Klippie poté finalmente uscire.
C'era il cane,
c'erano le pecore, c'erano pure le stelle in cielo.
Klippie vide che il
cane abbaiava verso alcuni alberi,
e le pecore si erano
riparate dietro al ragazzo.
Belavano spaventate.
Klippie si stava
chiedendo che cosa stesse succedendo,
quando sentì
l'ululato di un lupo affamato.
Fu allora che il
pastore trasse dalla sua tasca una fionda e Klippie dalla mano.
Prese la mira e...
Klippie cominciò a volare come un missile!
Sssssss...bong!
Klippie finì dritto contro il naso del lupo.
“Ahi!”, gridò.
“Che botta! Non pensavo che i lupi avessero la testa così dura!”.
E svenne, un po' per
il mal di testa che gli era venuto,
un po' per
l'eccitazione del suo primo lancio.
Il lupo, invece,
fuggì di corsa nel bosco, guaendo.
Di sicuro per quella
sera non sarebbe più tornato.
Quando Klippie si
svegliò, era notte fonda.
Si guardò attorno:
del lupo, del pastore e dei suoi animali non c'era più traccia.
Sopra di lui c'erano
solo rami d'albero e attorno a lui foglie, radici e ghiande.
Guardò in alto.
Tra i rami
dell’albero poteva vedere un pezzettino di cielo.
Era un pezzetto
piccolo, ma bello.
Ad un tratto, una
paio di stelle cadenti scivolarono luminose nel buio.
Klippie le vide e
gridò:
“Oh, le stelle
cadenti! Che lungo viaggio stanno facendo da lassù!
Come mi piacerebbe
raggiungere il cielo! Ma come farò a muovermi da qui?
Sono lontano dal
sentiero, e lontano dal fiume,
lontano dalla mia
montagna e lontano dalle stelle.
Non c'è fulmine che
possa farmi cadere,
o acqua che mi possa
far rotolare,
o uomo che mi possa
raccogliere e portare con sé”.
Il viaggio di
Klippie era dunque durato solo un giorno?
Non poco, certo, per
un sassolino che non aveva mai viaggiato.
Ma il suo desiderio
era davvero grande: toccare il cielo!
Ci vuole molto tempo
per realizzare sogni così.
Per cui Klippie, in
mezzo alle foglie e alla radici, restò fermo per tanti anni.
A raccontarli
sarebbe noioso, perché che si può dire di un sassolino
che resta immobile,
giorno dopo giorno, per anni e anni?
Vien sonno solo a
pensarci. Eppure, qualcosa di importante accadde.
Oh, non nel bosco,
non sulla montagna,
non nel torrente e
nemmeno sul sentiero.
Le cose più
importanti non accadono mai fuori, ma dentro.
E infatti, Klippie
riuscì a fare qualcosa di molto difficile.
Dentro di sé
mantenne vivo il suo desiderio,
come una piccola
stella sempre accesa.
E non si arrabbiò
quando arrivò la grandine che gli ammaccò la testa,
e non si arrabbiò
quando il vento spazzò via le foglie e lui no,
e non si arrabbiò
quando gli animali vennero a mangiare le ghiande e lo lasciarono lì.
Fu paziente e tenne
il suo desiderio sempre acceso.
Prima o poi avrebbe
ripreso il suo viaggio.
E infatti accadde
che un giorno passò di lì un signore.
Aveva sulle spalle
un grosso zaino pesante
e ai piedi un paio
di scarpe grosse.
Klippie se le vide
arrivare addosso.
Una lo calpestò e
lui rimase incastrato nella suola.
Possibile? Oh sì.
Klippie non lo
sapeva, ma in tutti quegli anni,
consumato dal vento
e dal tempo, si era fatto piccolo piccolo,
poco più grande di
un chicco di caffè.
C’è chi col tempo
diventa grande e chi si fa piccino.
Le scarpe grosse
camminarono a lungo,
e Klippie ad ogni
passo, toccava terra e poi si rialzava.
Tutto quel che
riusciva a vedere era erba e terriccio,
polvere e lombrichi.
Ogni volta che le
scarpe grosse toccavano terra,
Klippie chiudeva gli
occhi,
e ogni volta che le
scarpe si alzavano,
lui li riapriva.
Era un camminare
faticoso,
a luce spenta e luce
accesa ad ogni passo.
Per niente facile.
Ma sentiva l’uomo
fischiettare.
Ne fu contento, per
le scarpe.
Stavano con un uomo
allegro.
E anche gentile.
Le scarpe infatti
non calpestavano mai i fiori o i piccoli animali.
Questo gli piacque
molto.
Camminarono tutto il
giorno.
L’uomo cantava.
Aveva una bella
voce.
Le scarpe andavano
leggere sull’erba e sulla roccia.
Klippie si
addormentò pure un pochino,
così non si accorse
quando arrivarono.
Proprio in cima alla
montagna,
davanti a una grande
roccia che sembrava
un enorme dito
puntato verso il cielo ad indicare le stelle,
c’era una piccola
casetta, fatta di una stanza soltanto.
L’uomo si tolse
lo zaino pesante dalle spalle prima di entrare.
Chissà cosa ci teneva
dentro. Forse i suoi vestiti, forse un po’ di cibo,
forse un libro e una
coperta per dormire al caldo.
L’uomo si sedette
su una panca fuori dalla casetta,
si tolse le scarpe e
cominciò a pulirle dal terriccio.
Klippie pensò che
ben presto sarebbe caduto a terra
e invece l’uomo
fece una cosa assai curiosa:
prese Klippie tra le
dita e lo osservò a lungo.
“Strano”, disse
a voce alta l’uomo, come se volesse parlare al sassolino.
“Sei tutto rosso e
qui attorno le pietre son tutte grigie.
Da dove arrivi, tu,
piccolo sassolino?”
E si guardò in
alto, verso il cielo che cominciava a riempirsi di stelle.
Poi, come se
conoscesse il desiderio di Klippie,
lo appoggiò sopra
la panca e disse:
“Domani salirò
lassù in cima, sopra il Grande Dito,
e tu, piccolo amico,
verrai con me a toccare il cielo.”
E fu così, davvero.
Perché l’uomo era
gentile
e un sassolino
piccolo non pesa poi tanto nello
zaino, ma fa compagnia.
E Klippie toccò
veramente il cielo, come aveva desiderato.
Non sappiamo cosa
fece dopo il signore gentile,
né dove andò
Klippie.
C’è chi racconta
di averlo visto tra i pinguini e le balene,
chi invece giura di
averlo incontrato sugli scogli di un’isola lontana.
Ma state attenti
bambini, e ogni tanto guardate sotto le scarpe o dentro i calzini…
potrebbe esserci
nascosto un sassolino vagabondo.
Siate gentili,
portatelo per un poco con voi.
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